Conversazione con Vasco Brondi – Le Luci Della Centrale Elettrica

Abbiamo incontrato Vasco Brondi assieme ad altri colleghi del web il giorno prima dell’uscita di ‘Costellazioni’. Dopo l’ascolto integrale del disco, Vasco ha iniziato a parlarci ruota libera e a rispondere alle nostre domande. Ecco la trascrizione di buona parte della lunga esposizione orale dell’artista ferrarese e un nuovo brano estratto dal disco, ‘Firmamento’

ASCOLTA via YouTube: Le Luci Della Centrale Elettrica - 'Firmamento'

Vasco: È un disco con tante canzoni e quindi ci si può perdere dentro e la cosa è anche un po’ voluta. Anche farlo mi ha disorientato molto per tutte le cose che c’erano, però è una cosa che amo molto nei dischi, di riavvicinartici e trovare qualcos’altro che ti colpisce, penso che il disco sia un po’ così, ci sono cose che arrivano con più immediatezza e altre che ti passano solo di fianco o che le puoi saltare. In questo senso ho sentito il bisogno di avere più canzoni, anche perché ognuna andava verso una direzione precisa e quindi con un orizzonte più a fuoco su ogni elemento. Negli altri dischi cercavo di mettere tutto in ogni canzone, qui è come se le avessi scorporate. Pensavo cose come “se ho l’episodio con il pianoforte, allora ci deve essere anche quello tirato da un minuto e mezzo, se c’è il pezzo blues allora voglio anche quello solo elettronico” e la cosa particolare è che poi è molto sfuggito al mio controllo e secondo me è stato positivo anche questo. Da una parte c’era quello che volevo fare e dall’altra quello che veniva fuori, che in realtà si assomigliano molto e in generale, so che può non essere un complimento, ma il disco assomiglia molto a me. Ho allargato l’orizzonte e ora esso ha varie polarità dalle quali normalmente non prendevo per scrivere. Anche quando ho iniziato a scriverle queste canzoni, alle prime mi ero approcciato in modo diverso dal solito, non mi ci sono messo chitarra e voce ma sono partito da delle atmosfere musicali, da un beat o da un’atmosfera di armonia soffusa elettronica o dal pianoforte, e comunque da soluzioni armoniche, poi da lì sono uscite le parole, però il tutto era molto focalizzato sul timbro, sul suono che stavo usando. Ero spiazzato un po’ anch’io, ad esempio ‘I Sonic Youth’ è una canzone col pianoforte ed è una delle prime che sono uscite nell’inverno del 2012, mentre le ultime le ho scritte due mesi fa, e mi dicevo “che strano, non è straziante, non funziona” perché fino a quel momento avevo fatto sempre canzoni di un certo tipo e mi sembrava che se non andavano a parare su quel tipo di emozionalità non potessero funzionare. Invece poi mi sono accorto che semplicemente c’erano altre atmosfere, altre sensazioni che portavano da un’altra parte. Un certo peso ce l’ha avuto anche il fatto che io il disco lo abbia condiviso molto da subito, sentivo di volerlo fare e quindi dopo il momento iniziale mi è venuto automatico di condividerlo con gli altri, le ho fatte sentire ai miei amici o a musicisti che conosco, perché non avendo veramente una band il mio confronto sono loro.

Tra gli altri le avevo fatte sentire a Fede Dragogna che aveva subito dato il suo punto di vista, si è subito interessato molto, poi gli stavo chiedendo di aiutarmi su certe cose ritmiche di elettronica con le quali non riuscivo ad andare nella direzione che volevo, lui è molto bravo anche su quello e da lì il lavoro con lui si è allargato moltissimo e praticamente abbiamo fatto tutto il disco insieme, all’inizio suonando un po’ io e un po’ lui solo pianoforte e chitarre mentre tutto il resto era fatto al computer, però quando già c’erano quasi tutte le canzoni mi sono reso conto che mi mancava una parte fondamentale che era proprio il sentire le mani, la pancia, il nervosismo e l’entusiasmo di qualcuno che ci ha suonato, che è qualcosa che arriva chiaramente a tutti, anche a un ascoltatore distratto. Non è che l’elettronica fosse fredda, però da lì in poi ho detto “Fede, mi sa che stiamo sbagliando qualcosa”, così siamo andati due settimane in uno studio con tutti i musicisti con cui poi suonerò in tour e abbiamo registrato il disco tutto live, quindi a quel punto avevamo due dischi, la situazione era abbastanza delirante. Abbiamo capito che anche nella nuova versione mancava un po’ quello che avevamo fatto prima, così abbiamo reagito mischiando le cose. In questo senso il disco è sia organico che elettronico, sia acustico che elettrico e anche i testi hanno due nature diverse, per questo dico che è un disco provinciale e spaziale, ci sono canzoni con uno sfondo rurale di storie piccolissime, però sono piene di pianeti e di altre galassie e di altri continenti, c’è un orizzonte molto ampio, un po’ su due dimensioni. Anche il live lo stiamo strutturando in questo modo, immaginandocelo come se fosse un’orchestrina da balera che però suona a un rave o viceversa, un incrocio tra una dimensione di un tipo e una completamente opposta. Ci saranno meno cose di quelle che ci sono sul disco, che poi in realtà non sono tante, perché noi abbiamo ragionato essenzialmente per frequenze e ce ne sono di tre tipi, le basse, le medie e le alte e ogni volta c’era uno strumento che si occupava di ognuno dei tre tipi, quindi sono sempre tre strumenti per volta con una ritmica, che tendevano a mischiarsi e ad avere un contraltare, nel momento in cui c’era la cassa dritta c’era anche la fisarmonica, nel momento in cui ci sono le chitarre distorte ci sono anche gli archi da orchestra. Poi nel mixaggio abbiamo cercato di creare un filo conduttore che è questo bar che sta tra la Via Emilia e la Via Lattea. Volevo che le canzoni rimanessero intime, pur suonando anche in cinque o sei volevo che rimanesse questa idea qua e per farlo abbiamo usato molti suoni fantasma, atmosfere impalpabili che ci sono, aprono la canzone anche in modo classico a volte, come nei ritornelli.

I-R – Ti ho visto dal vivo tante volte e a me è sembrato che, al di là dell’evoluzione tra primo e secondo disco, il live sia stato un altro pezzo di un percorso di evoluzione, perché se penso alla prima data di quel tour e alle ultime con Lorenzo Corti e Giovanni Ferrario, mi sembravano quasi due cose diverse. Secondo me quel periodo lì, quando hai suonato con loro due, può averti influenzato nel voler fare un disco come questo.

È vero, è una cosa di cui non parlo mai ma quello è stato un percorso parallelo fondamentale. Il tour è durato due anni, che sono di più dei due mesi che ci ho messo a registrare il disco, ed è stata un’esperienza forte il capire che le canzoni si assestavano in furgone e un sacco di scelte nel fare questo disco le ho fatte perché non le avevo fatte prima. La cosa che vi dicevo di andare in sala prove con tutti i musicisti non l’avevo mai fatta ad esempio, normalmente si fa il disco, si chiude e poi ,anche per un problema di budget, inizi a fare le prove per il tour, anche perché i soldi per il tour ci sono quando il tour sta partendo, invece io ho anticipato tutto di sei mesi, perché mi sono detto “abbiamo queste canzoni fatte al computer che suonano bene ma voglio vedere come suonano quando le suoniamo veramente” e non volevo scoprirlo solo dopo che il disco fosse chiuso, perché avevo fatto così per il disco precedente e poi è finita che le canzoni hanno preso un’altra direzione dal vivo e hanno proprio avuto una vita diversa e da qui è nata l’esigenza di fare l’EP ‘Ceravamo Abbastanza Amati’, perché almeno su due canzoni restasse impresso quel momento, che altrimenti lo avrebbe sentito solo chi veniva ai concerti. Con il disco precedente mi sono detto che avrei potuto fare tante cose in modo diverso, ma lo scopri solo se sei lì coi musicisti, perché è diverso essere con loro che fare le cose da solo o anche in due. Quel tour mi ha aperto un mondo, soprattutto sulle parti ritmiche ho imparato tantissimo, oltre a come si fanno i concerti e come si sta su un palco. Ho capito che potevo avere molte soluzioni in più, ampliare il linguaggio.

In questo disco sono subito andato da Sebastiano De Gennaro, il batterista di quel tour e che ci sarà anche adesso, a lavorare io e lui solo sulle ritmiche perché era una cosa che non avevo mai fatto e sentivo che fosse una delle cose più importanti da fare. Volevo che rimanessero dietro, perché se ci fate caso anche nel disco precedente ci sono, semplicemente abbiamo sostituito il “dren dren” della chitarra con delle ritmiche ossessive, serrate, ipnotiche. Una canzone come ‘Firmamento’, che è quella più punk del disco è come se l’avessi già scritto nei dischi precedenti ma lo sapevo solo io che era così, era così solo nella mia testa, perché era senza ritmiche. Dall’altrs parte ho lavorato anche molto sulla forma canzone, mi interessava il fatto che venendo dai dischi precedenti, la cosa più sperimentale che potessi fare era lavorare proprio sulla forma canzone, sulla metrica, sulla strofa e il ritornello, pensarla come se fosse una canzone pop e quindi anche togliere un sacco di roba che mi piaceva anche ma sentivo che le canzoni non dovessero essere appesantite da niente di più di quello che serviva, anche se quello che toglievo piaceva a me. Mi piaceva l’idea che ci fosse un’immediatezza diversa, che anche i testi fossero più narrativi. Ci sono stati una serie di motivi sotterranei un po’ indecifrabili che mi hanno spinto a tornare a scrivere le canzoni e poi c’è questa cosa di cui sto parlando in questi giorni, cioè l’idea di futuro, di assenza di futuro, di lamentele e di melodramma generale. Da una parte mi dava un po’ di insofferenza, dall’altra era una forza propulsiva, mi veniva da fare canzoni che fossero un po’ l’opposto di quella che ormai è diventata una mentalità generale. Mi piaceva che ci fossero delle storie con dei lieto fine assurdi, che fossero di incoraggiamento in qualche modo. Credo che la musica sia una cosa che ha sempre avuto di essere un anticorpo rispetto all’andazzo generale, e questo sia in modo positivo che negativo, in questi giorni sto facendo l’esempio dei Rolling Stones, che uscivano da un’Inghilterra rigidissima e repressa con la musica più piena di gioia che sia mai stata scritta forse, più corporea, più sensuale, tutto l’opposto del posto da cui venivano.

A proposito di questa cosa sul futuro, ho trovato nel disco un’attitudine che era di De André o anche dei CCCP di usare la musica come manuale di istruzioni per uscire dalla crisi.

Non ci avevo pensato così, però la musica ha sicuramente questa componente. Io ho ascoltato un sacco di cose per fare questo disco, anche che non mi piacevano, mi sono allontanato dai miei gusti e ho anche scoperto cose che non mi piacevano, però mi tornavano sempre le cose con cui ero cresciuto, che era questo corto circuito tra il punk e i cantautori. Avevo in testa soprattutto Battiato e i CCCP, che penso si sentano qua e là, e quest’idea che avevano loro, i CCCP dicevano “la situazione è eccellente” e lo dicevano alla fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta, dove la situazione era invece terrificante. Loro dicevano la situazione è eccellente, questi sono i nostri tempi, i nostri posti, è ciò che abbiamo a disposizione, dicevano “a Carpi, non a Berlino” e questo per me è stato fondamentale, è stato uno dei motivi per cui mi sono messo a fare quello che faccio e in questo disco era uno dei pensieri più ricorrenti. Questo assomigliava un po’ all’orizzonte che ha messo Battiato nella canzone italiana, una cosa assolutamente assurda sulla carta, cioè riempirla di misticismo, di esoterismo, di posti orientali che mai erano entrati in una canzone italiana e avere un successo incredibile. Io mischiavo il punk e i cantautori perché quando sentivo ‘Bandiera Bianca’ anche da ragazzino, cantata così come se fosse la cosa più yuppie degli anni Ottanta, a me sembrava la cosa più punk del mondo, così profonda e così popolare allo stesso tempo, cantando cose del genere e facendole cantare alle persone col sorriso sulle labbra. Anche in ‘La Domenica Delle Salme’ di De André c’è un pezzo che è una suite punk sentendo quello che dice nel testo e queste erano le cose che mi tornavano di più, mischiate all’idea musicale dell’organico e dell’elettronico e anche al fatto che tanti gruppi al momento stanno uscendo con cose coloratissima sia musicalmente che visivamente proprio in questo momento, trovo questa cosa stupenda.

Ci dicono che è un disastro e sento solo musica da festa, così mi sono venuti in mente anche i Sonic Youth e gli Smiths, che sono uno dei miei più grandi amori di sempre, e mi è venuto in mente che tutti e due i gruppi avessero sempre sotto quella che definirei voglia di vivere se non fosse un termine sempre inappropriato e abusato, però una strana allegria, malata, ed è una cosa che ho sempre amato, e è tra le cose in cui mi sono imbattuto a 15-16 anni, che è il momento in cui si è più ricettivi e le cose poi non vanno più via ma diventano parte della nostra anima. Mi tornava in mente quando camminavo per Ferrara e pensavo di essere l’unico a ascoltare i Sonic Youth e invece poi sentivo un loro pezzo da una finestra e c’era quel momento di riconoscimento ed era incredibile sentire che qualcun altro stesse ascoltando quella roba, non c’era internet, i miei amici non erano interessati e i miei fratelli neppure, non c’era modo di confrontarsi con qualcun altro. In questo disco è uscito un po’ più espresso questo tipo di percorsi che ho avuto. Mi è poi venuto in mente che ai concerti punk a cui andavo c’era questo ragazzino che cantava in questo gruppo che prima del concerto dava alla gente i fogli con scritti i testi, perché poi sapeva che nel casino non li avrebbe sentiti nessuno, non si sarebbe capita nemmeno una parola e lui ci credeva tantissimo nelle cose che scriveva ed erano cose molto cantautorati e lui faceva parte di un gruppo punk e mi aveva molto emozionato che lui ci tenesse alle sue parole in quel contesto lì, è stata una grande lezione di cantautorato per me.

I-R – Una volta che hai avuto in mano queste canzoni, immagino che il pensiero sia stato “come le metto in fila?”. Al primo ascolto la mia impressione è che le tre canzoni più spensierate, cioè ‘I Destini Generali’, ‘Ti Vendi Bene’ e ‘Questo Scontro Tranquillo’ vadano ognuna a chiudere un quarto di disco, quasi come momenti di stacco per alleggerire l’intensità emotiva.

Così ovviamente non l’avevo pensata, che fosse diviso in quarti, però metterle in fila è stato uno sbattimento che non sarebbe quasi da dire, perché è raro che uno si ascolti il disco per intero, però quando lo fai il disco, ovviamente pensi a tutto. L’idea era quella di dare un percorso agli ascolti, ma devi tenere conto della componente ritmica, di quella armonica, dei testi, mi piaceva il fatto che le storie narrate con un io esterno fossero momenti più rilassati che arrivassero a spezzare, poi per me era importantissimo che ci fosse un’alternanza tra i diversi momenti, poi per me sono sempre stati importanti il momento iniziale e quello finale, infatti quando ho scritto la prima canzone pensavo che sarebbe stata l’ultima, ma poi è arrivata quest’altra che dice “qui dove anche le rondini si fermano il meno possibile, qui dove tutto mi sembra indimenticabile” che è un po’ su Ferrara e in generale c’entra con il disco, mi piaceva che ci fosse un augurio iniziale e uno finale, mi piaceva che iniziasse con questa canzone che dà una sensazione liberatoria, perché per me è stato molto liberatorio attraversare tutta la lavorazione del disco fino a questo momento in cui mi fa piacere parlarne, che finora è sempre stato un momento a cui non prestavo molta attenzione anche perché non sapevo mai spiegare bene le cose, spiegando si rischia di banalizzare quando si parla delle canzoni. Faticherei a definire dal punto di vista metodologico il lavoro sulla scaletta, perché è stata una cosa più a slanci, che sai che è così, poi ti confronti con gli altri ed era chiaro a tutti che sarebbe dovuto essere così. Parti dall’inizio e deve funzionare tutto, facendo la scaletta si scartano anche i pezzi, c’è quel momento difficile in cui dici “questo pezzo è bello ma non serve, ce ne sono altri che hanno quella dinamica lì, quella velocità lì e parlano più o meno di quella cosa”, quello è il momento in cui i pezzi restano fuori da un disco. Di solito le canzoni vivono in modo separato, ma questo è un disco fuori dal tempo perché mi piace che stia bene assieme, però dall’altra parte è un disco lungo, penso che questo vostro primo ascolto di oggi sia stato impegnativo.

Per quanto riguarda il processo creativo, tu inizi una canzone e la porti fino alla fine, oppure inizi, ti fermi, aspetti altri stimoli…

Su questo disco soprattutto, ogni canzone ha avuto la sua storia. Tre – quattro canzoni le stavo scrivendo in contemporanea, quindi le hai tutte aperte, con i suoni, il testo, un po’ di frasi , un po’ di idee che sono però solo un nucleo, per altre invece mi ci sono dedicato singolarmente per un po’ e soprattutto questa volta il metodo cambiava molto, anche perché alcune cose le ho aggiustate in sala prove con tutti i musicisti, altre con Fede, altre ancora erano già prontissime così come sono uscite da casa mia. Normalmente però, se le lascio lì troppo, normalmente poi le scarto, infatti non posso nemmeno parlare di scartare canzoni finite, semplicemente un po’ di idee a un certo punto lo capisco che devo scartarle. Avevo finito il turo nella primavera del 2012, sono partito per un po’ di mesi, sapevo che mi sarei fermato per un po’ e che non avevo scadenze, poi però quando sono tornato l’autunno successivo, in me tutto era abbastanza chiaro su come sarebbe stato il disco che poi sarebbe uscito molto tempo dopo. Poi tra il pensarlo e il tradurlo in realtà c’è stato di mezzo il classico mare, però quando ho capito che disco avrei voluto fare, la prima cosa che ho fatto è stato scartare tutto quello che avevo scritto nell’anno precedente, in tour hai tempo di scrivere e stavo suonando con Giovanni e con Lorenzo e con Seba e la band funzionava benissimo e quindi eravamo andati in studio a fare un po’ di prove perché in quel momento arrivi con la band caldissima e qualsiasi cosa butti giù è buonissima e la puoi tenere, poi le parole le butti giù dopo ma sai che così puoi giù tirare fuori un po’ di atmosfere. Però fermandomi avevo capito che volevo andare completamente da un’altra parte e ho voluto chiudere la cosa senza nemmeno riascoltare niente perché sapevo che se lo avessi fatto mi sarei pentito di buttare via certe cose che effettivamente erano belle. Quando scrivi è una fatica oltre che una cosa bella e liberatoria, per quello che ho deciso di non rimettermi a ascoltarle.

Mi sembra che nel disco nuovo si apra la questione del cantato. È una cosa che ti interessa, vorresti arrivare a fare cose sempre più simili al cantato, o vorresti continuare a dosarlo comunque con attenzione?

In realtà non lo so bene. La cosa strana è che quello che dici è arrivata subito, la prima canzone uscita è forse la più cantata, quindi questa dimensione è arrivata subito, è cantata stonata ma è cantata. Dopo un po’ mi sono accorto che il disco è anche poco urlato, ed è stato tutto naturale, pensandoci dopo forse è successo così perché ormai al telegiornale vediamo che sempre più nella quotidianità si urla e mi è venuto spontaneo il voler usare il meno possibile quel tipo di comunicazione. Allo stesso tempo quando abbiamo fatto ‘Ti Vendi Bene’ quello è un pezzo gridato ma mi piaceva il fatto che lo fosse senza essere rabbioso, c’è un’altra sensazione, non è né una lamentale né una critica ma è solo un dato di fatto questa bandiera rossa che sventola solo sul mare in tempesta. Poi quando è venuta fuori ‘Firmamento’ mi sono detto “potrei fare un disco solo così”, è stato talmente bello per me farla, talmente naturale, perché sono le cose che ho suonato per 5 – 10 anni da quando ho iniziato a suonare il basso, tre pomeriggi a settimana quindi molto più di adesso, e la canzone parla dell’erba alta che c’era dietro la sala prove e allo stesso tempo della luna che sta dietro gli hotel dove dormo ora, e visto che parlava di quel periodo mi è venuto naturale farlo col linguaggio musicale di allora, quindi ho pensato che avrei potuto fare un disco urlato in quel modo. Tornando alla tua domanda, credo che in questo disco ho aperto un po’ di direzioni, mentre nel prossimo, non ho bene idea perché lo sto dicendo ora per la prima volta, potrei voler prendere una sola delle direzioni aperte in questo disco. Vista la mole di lavoro che ci è voluto per fare questo disco, per il prossimo mi immagino una cosa molto più semplice, con tre suoni e tre strumenti e una sola direzione, che possa essere quella di ‘Firmamento’ piuttosto che quella di ‘Punk Sentimentale’ che è solo elettronica. Solo urlato o solo cantato o solo parlato, in questo momento, dopo aver fatto una cosa così varia, mi verrebbe voglia di andare in una sola direzione, quindi non so cosa succederà, però avere la possibilità di esprimermi e quindi usare anche il cantato è senz’altro una cosa che mi è piaciuto fare, ti permette di parlare di cose serie e di dar loro tutto un altro tono e questa cosa è stata fondamentale, mi ha fatto stare bene.

I-R – Dal vivo le canzoni vechie ce le dobbiamo aspettare come le suonavi nell’ultimo periodo del tour scorso o con la band nuova avete preso un’altra direzione anche su quelle?

In alcuni casi sono anche più fedeli a come sono su disco rispetto a quando le suonavo per la prima volta, perché anche quando suonavo solo con Giorgio Canali lui non suonava mai le chitarre come le aveva suonate su disco perché non se le era mai tirate giù. A questo giro mi sono detto il tour parte anche presto, quindi vorrei fare in modo che ci fosse anche un riconoscimento delle canzoni, che suonando in posti grandi parta una canzone e la gente la riconosca per com’è su disco, cosa che non ho mai fatto. Ci sono quindi la mia voce, la chitarra acustica, quelle elettrica quando c’è, il violino o il violoncello, quindi queste parti qui come sono su disco, però le abbiamo avvicinate allo stile di questo disco, dal punto di vista delle frequenze basse e di ritmica ossessiva e penso che siano uscite molto bene e che funzioni molto, perché c’è la canzone per come la si conosce su disco ma c’è anche questo movimento basso quindi ad esempio la ritmica non è più latente ma esplicitata, come dicevo prima. C’è il riconoscimento ma c’è anche un salto in modo che ci sia continuità con le canzoni nuove.

A proposito dell’apparente contraddizione tra punk e cantautori, io l’avevo trovata risolta quando erano usciti i CCCP e poi dopo vent’anni sei uscito tu, in una situazione particolare degli anni Zero e dei figli che non avremo. Poi sei andato avanti e ora esci con questo disco nuovo e nella cartella stampa tu scrivi “avvertire con uno strano sospiro di sollievo l’inizio della fine della gioventù”. Mi sembra che tu sia ormai entrato in una nuova fase e mi viene da chiederti: cosa vuoi fare da grande?

Uno dei temi del disco è la fine della gioventù, ma un lieto fine, dei sospiri di sollievo per questo concetto della gioventù un po’ sopravvalutato. Rispetto al futuro, per me il futuro c’è ancora perché è stasera, è tra una settimana, lo penso come le cose che devo fare adesso, tra due mesi, tra tre mesi, per il resto non mi è mai appartenuta l’idea che il futuro non è più quello di una volta perché una volta lo vedevi tra quarant’anni, in cui tutti sapevano esattamente dove sarebbero stati a lavorare, che è una cosa che non mi sarebbe andata bene come a nessuno che ha la mia età adesso. Il futuro si è spostato e lo vedi molto bene ed è quello il futuro che mi interessa, per quello quando sento un ragazzino di 16 anni che dice non ho futuro io gli dico hai stasera per vedere un tuo amico, poi ovviamente la cosa è controversa perché, non è certo un discorso che devo fare io, non si può avere la progettualità per fare qualcosa per colpa di una serie di dinamiche molto complesse, economiche e non, però io per me la vedo così.

Mi piace la tua capacità di connessione, ti ho incontrato nel mondo dell’editoria, in quello del fumetto, poi hai la capacità di tirare in mezzo un sacco di artisti in quello che fai. Secondo me questa è la parte più solare di te.

Io e te ci conosciamo da anni però questo elemento chi non mi conosce non l’ha mai vissuto perché nelle mie canzoni tutto c’era tranne che quello, infatti chi mi conosceva a Ferrara mi diceva “ma va tutto bene?” anche perché per loro io ero ancora il barista, non quello che suona. Invece anche altri mi hanno detto che questo disco mi assomiglia di più, che ci sono tutti gli elementi di come sono io, mentre prima questo non succedeva e non so perché, mi veniva naturale esprimermi in quel modo lì, anche dal nome stesso del progetto non c’è completamente la mia figura dentro.

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