Scusate il ritardo – marzo 2016

Portare avanti una webzine amatoriale di musica indipendente non è assolutamente facile. Lo si deve fare nel tempo libero, nei ritagli di tempo dopo il lavoro o lo studio, e lo si fa unicamente per passione. È capitato dunque – e continuerà a capitare specie in realtà come le nostre – che durante il corso dell’anno si siano trascurati dischi particolarmente ben riusciti per pura mancanza di tempo. Con questo articolo cerchiamo dunque di rimediare ad alcune nostre mancanze, consapevoli del fatto che molto è ancora da fare.

rappresentante

La rappresentante di lista – Bu Bu Sad (Garrincha)

Il duo tosco-siciliano dei La rappresentante di lista, formato da Dario Mangiaracina e Veronica Lucchesi, torna con il proprio stile elettro-pop dalle venature cantautorali che i due avevano già proposto all’esordio con (Per la) via di casa. Tale stile viene riproposto rinvigorito e ancor più solido in questo secondo capitolo intitolato Bu Bu Sad. La rappresentante di lista torna, quindi, con una cornice melodica squisitamente pop. Come detto, il mood non è affatto diverso, mentre la superficie sonora in parte lo è, avendo abbandonato i, seppur sparuti, momenti acustici. Cosa farò?, rappresenta probabilmente il brano più ispirato di questo lavoro, in cui, su un groove travolgente, la voce di Veronica Lucchesi esplode in tutta la sua incredibile varietà di policromie interpretative (Marco Zuccaccia)

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macerie

Nient’altro che macerie – Hai perso (V4V)

I Nient’altro che macerie hanno pubblicato a novembre 2015 il loro primo album, Hai perso. uscito per la V4V-Records. Hai perso. (sì, si scrive proprio con il punto alla fine) è la terza pubblicazione per il trio dell’hinterland milanese, dopo l’ep autoprodotto Circostanze e l’ep Al vento (V4V-Records, 2013). Hai perso. rappresenta la maturità della band, sei tracce emo-zionali, di cui si apprezzano i testi, le atmosfere create dalla chitarra, le parti strumentali (Sfida), l’alternanza fra un cantato convincente, lo spoken-word e i cori. Hai perso. offre già dal titolo diversi livelli di significato, dalla constatazione nichilista all’esortazione esorcizzante/ironica che, per contrasto, spinge all’azione: “e sorprendendomi di nuovo, indosserò maschere con sorrisi disegnati e scalerò vette altissime, vette inarrivabili.” si dice in Ancora. Hai perso. ha un suono bellissimo, molto meno aspro dei precedenti lavori, quasi dolce. In questo caso sono infatti le liriche a farti male, perché essenziali e mirate. La cosa più convincente dell’album – e del percorso artistico dei Nient’altro che macerie – è come la voce sia meno sporca, meno lo-fi, più curata rispetto al passato. Merito della produzione, forse, ma anche della consapevolezza degli stessi ragazzi che, avendo iniziato a frequentare palchi anche importanti, hanno lavorato sulle proprie debolezze e sui propri limiti. D’altronde trovare un modo per superare le difficoltà è uno dei temi centrali del disco e ci verrebbe da dire che i Nient’altro che macerie non abbiano perso, anzi. Come già avevo scritto nella classifica personale dei 10 migliori dischi del 2015, Hai perso. è un album bello urlato sofferto emozionante e sincero (Vittorio Lauri)

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bonetti

Bonetti – Camper (Costello’s)

Bonetti è un cantautore pop che punta su un suono fresco e un po’ lo fi, su melodie e timbro vocale di facile ascolto ma un po’ fuori dalla classica rotondità del pop e su testi che raccontano storie in equilibrio tra introspezione e quotidianità, cercando di mantenere la leggerezza della parte musicale. Si potrebbe dire la stessa cosa di tantissimi altri progetti, quindi perché perdere il proprio tempo nell’ascoltare questo disco? Il motivo più importante è quello più semplice ma di cui ogni tanto ci dimentichiamo: le canzoni sono tutte belle e danno all’ascoltatore un sacco di vibrazioni positive, senza che si debba tar lì a pensare se somiglia a questo o a quell’altro. Che poi, a dirla tutta, Bonetti va sì su una strada già presa da tanti, però non ricorda nessuno in particolare e è la dimostrazione che si possono anche fare cose “alla moda”, ma se si ha una propria personalità, questa esce. Volendo trovare un riferimento, si potrebbe parlare di una versione più educata dei Clap Your Hands Say Yeah prima maniera. Non proprio il nome più cool oggigiorno, ma evidentemente a Bonetti interessa semplicemente far sgorgare le canzoni dal cuore, senza troppi ragionamenti. Per fortuna, il risultato è di quelli che mettono il sorriso (Stefano Bartolotta)

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IO e la TIGRE – 10 e 9 (Garrincha Dischi)

Esce per Garrincha Dischi questo disco de Io e la Tigre e, ammetto, questo potrebbe far pensare a un nuovo gruppo da inserire nel calderone dell'”indie-sfiga” di cui quell’etichetta si è fatta paladina, ma per fortuna non è così. Mi avevano già ottimamente colpito nel precedente Ep e ora ecco che Aurora Ricci e Barbara Suzzi arrivano all’album vero e proprio. Genuino e fragoroso, vuoi anche per le registrazioni in presa diretta, il disco riprende quella grinta che già conoscevamo (Revolver, Povero Cristo, Come un sasso in una scarpa, Tu non sei un mio ex) e non le manda certo a dire. I testi vanno a toccare la classica sfera degli affetti e di rapporti di coppia da gestire tra casini, sogni da realizzare e speranze cancellate, ma quei ritornelli urlati lasciano intendere una forte volontà personale e una maturità emergente, in grado di infondere anche all’ascoltatore la capacità di superare l’aspetto prettamente adolescenziale che emerge al primo ascolto. Brave anche nel rallentare i ritmi ma non per questo diminuire il rumore (Lei Sa), le fanciulle non hanno paura anche a mostrare un lato più vulnerabile (I Santi, una deliziosa ballata che ci riporta agli anni ’60) e una visione più avvolgente (Lentamente). Da mandare a memoria la travolgente Non Hai Vinto Tu che unisce Caterina Caselli a una bordata chitarristica degna degli anni ’90 più grunge. Buonanotte chiude musicalmente il disco in modo quasi sussurrato e, dopo tanti venti soniche, questa ninna-nanna è proprio il finale adatto, anche se il testo è tutt’altro che allegro e conciliante il sonno: le due ragazze hanno ancora un fuoco acceso e siamo sicuri che questa buonanotte è solo un arrivederci a preso, non certo un addio (Riccardo Cavrioli)

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jocelyn

Jocelyn Pulsar – Lavorare Per Le Feste (Diavoletto)

Dopo l’esperienza a nome Divano, Francesco Pizzinelli si riprende il proprio moniker tradizionale e confeziona un nuovo album di artigianato pop che contiene le solite cose: suono senza troppi fronzoli ma molto catchy, timbro vocale a metà strada tra la melodia e la cantilena e testi velati di nostalgia tra vicende sentimentali, quotidianità e metafore calcistiche. La differenza, rispetto al passato, è che qui Pizzinelli non sbaglia una canzone che sia una e realizza finalmente un disco da ascoltare con lo stesso piacere dall’inizio alla fine. Finora, infatti, almeno a parere di chi scrive, tutti i dischi precedenti alternavano pezzoni clamorosi a momenti molto meno efficaci, invece qui è tutto a posto dall’inizio alla fine. Probabilmente, nessuna di queste canzoni arriva ai livelli di una “Garella” o una “Jennifer E La Piazza”, però è meglio un disco tutto di livello medio alto che uno caratterizzato da saliscendi qualitativi. È quindi il caso di dare il bentornato a Jocelyn Pulsar, salutando questo disco come il meglio riuscito della sua corposa produzione (Stefano Bartolotta)

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trompelemonde

Trompe Le Monde – Ohrwurm (autoprodotto)

Primo esperimento, decisamente riuscito, per i veneziani Trompe Le Monde. Tra frastuono e voglia di sperimentare vede la luce questo primo Ep del trio dal titolo del tutto originale: OHRWURM è un’espressione usata dai tedeschi che indica un motivetto che resta insistentemente nella testa e difficilmente va via (tradotto letteralmente “verme nell’orecchio”). Di fondo tale concetto riprende appieno quello che i tre hanno da dire, i sei brani in questione sono gradevoli per quanto rumorosi ed è esattamente questo il messaggio di base che si vuole far arrivare a chi ascolta. Non lasciatevi impressionare, quindi, dall’apparenza, questo è uno di quei pochi casi in cui è tutto oro ciò che luccica (Andrea Martella)

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