Gli EP del mese: aprile 2016
L’EP è ormai un formato sempre più diffuso per la pubblicazione di nuove canzoni da parte delle band, italiane e non. Spesso, purtroppo, chi scrive di musica tende a privilegiare la trattazione degli album, e questo crea il rischio che lavori assolutamente validi non abbiano lo spazio che si meriterebbero. Da questa considerazione è nata la nostra scelta di raggruppare mensilmente una serie di recensioni brevi sugli EP usciti nel periodo di riferimento, così che i nostri lettori possano avere uno sguardo d’insieme anche su questo tipo di pubblicazioni.
My Cruel Goro – Stuff Ep (Autoproduzione)
Si parla spesso di fuga di cervelli dall’Italia in ambito lavorativo, ma questa volta useremo l’espressione per una situazione prettamente musicale: i My Cruel Goro sono Andrea Maraschi (voce, chitarra), Andrea Marcellini (basso) e Tommaso Adanti (batteria) che trovano un punto di partenza nella lontana Reykjavík, in Islanda. Nell’agosto dell’anno scorso hanno aperto le loro danze personali con l’incendiario EP omonimo che sbatteva in faccia all’ascoltatore una prepotenza indie-rock non da poco. Tra Nirvana, Pixies, Arctic Monkeys e QOTSA i nostri avevano dimostrato di saperci fare. Ma ora è già tempo di parlare di un secondo EP, che mantiene intatte le caratteristiche della band e anzi, le amplifica, se possibile. Stuff EP è composto da 5 brani ad altissimo tasso abrasivo, un garage-punk rock senza compromessi dai ritmi belli alti. Energia, volumi alti e capelli sudati, in una corsa a perdifiato verso la meta sonora di un power-pop che picchia duro. Lost E pare un pezzo degli Ash gonfi di anfetamine e Red Bull, Black Trash Bag è “ipermelodicamente” anni ’90 e I’m Not From This World ha questi saliscendi clamorosi, che sanno stendere al primo ascolto. Se amate i Therapy?, quelli di Troublegum, beh, sappiate che troverete pane per i vostri denti. Italiani all’estero che si fanno valere! (Riccardo Cavrioli)
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L I M – Comet (La Tempesta International)
L I M è il progetto solista di Sofia Gallotti degli Iori’s Eyes, realizzato in collaborazione con il produttore Riva per la Tempesta International. In cinque brani Sofia apre un obiettivo sul proprio mondo interiore: psichedelico e avvolgente, fatto di elettronica sperimentale e meditativa contaminata da atmosfere cosmiche e risvolti più neri. Cinque brani per un viaggio delicato e sofisticato (Gamer Over e All The Parst), con momenti energici e moderni (Comet e Organ) e la cover di Sugar Me, brano degli anni settanta poco conosciuto, che riceve nuova vita e un tocco di magia grazie alla reinterpretazione di Sofia. Un bel disco da ascoltare e da apprezzare per la ricerca e la raffinatezza dei suoni. (Simona Ventrella)
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Light Lead – Randomness (VolumeUp Agency)
La cantante Michal Israeli e il chitarrista bresciano Davide Panada (con l’aggiunta del batterista Beppe Mondini) sono l’ossatura del progetto Light Lead, che presenta il suo primo biglietto da visita con l’EP Randmoness. Gentilezze chitarristiche e carezze vocali su un tappetoi ritmico mai particolarmente invasivo o sostenuto, in sisntesi è questa la proposta del duo che preferisce le luci soffuse a quelle fin troppo accecanti. E’ facilissimo lasciarsi cullare da un brano come We Won’t Get Lost, per non parlare della suggestiva You Never Know. Quello che più piace è il sapiente utilizzo dei silenzi e degli spazi vuoti, pronti ad essere riempiti e coperti sempre con grande grazia e delicatezza. Disconnect è brezza leggera, mentre One Direction assume oscuri contorni new-wave, in una tensione sottile che passa sottopelle, ma non esplode mai in una catarsi e proprio per questo ci tiene sempre sulla corda. Come punto di partenza direi che ci siamo! (Riccardo Cavrioli)
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Marco Catani – Le Linee Di Ritardo (Autoproduzione)
Il leader dei Carpacho! esce da un periodo in cui ha avuto un rapporto difficile con la musica (come ha spiegato dettagliatamente lui stesso su Facebook), pubblicando queste quattro canzoni. Il songwriting e la produzione sono semplici ma curati, con una forte attenzone ai dettagli sia nello sviluppo compositivo dei bani che negli arrangiamenti; inoltre, c’è varietà tra una canzone e l’altra. Soprattuto, Marco sembra aver trovato una buona ispirazione per tutta la durata del lavoro, cosa che non gli capitava da tempo. Certo, come detto le canzoni sono solo quattro, ma meglio ascoltare pochi brani fatti bene che un album con alti e bassi. Infine, un aspetto molto importante è che torna un forte impatto emozionale, anche esso non sempre presente nelle ultime pubblicazioni della band madre. Un centro pieno, in definitiva, un pugno di canzoni che più ascolti, più ascolteresti (Stefano Bartolotta)
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Flamingo – Flamingo (Autoproduzione)
Una voce e una chitarra. Lavinia Siardi si muove in punta di piedi, attenta a non fare troppo rumore ma a toccare le corde giuste, quelle che sono nascoste e hanno bisogno delle note giuste per emergere. Il punto di partenza è che una carezza e uno sguardo colpiranno più a fondo di un graffio, anche se le unghie non è così male averle affilate (pensiamo alle brevi e inaspettate esplosioni elettriche di Animals). A volte viene in mente Emiliana Torrini nella sua veste più folk e aggraziata, con la nostra fanciulla capace di lavorare bene anche sui particolari, come nel finale di Chances che prende corpo e vigore grazie alla ritmica che entra in modo delizioso. Goodnight è ai confini con il dreampop più leggero, una melodia minimale che avvolge e infonde serenità, mentre Bergen potrebbe quasi rimandare al NAM dei primi anni 2000 con quel lieve profumo folk. Rimaniamo in attesa di altri brani per confermare queste prime positive sensazioni. (Riccardo Cavrioli)
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Sumo – Sumo (Autoproduzione
Secondo step per i pescaresi Sumo, o, per meglio dire, primo sotto questo nome. L’Ep vede la luce a distanza di cinque anni dal disco d’esordio dei tre ragazzi, al tempo The Rampage, del quale non recuperano granchè se non la grinta. Il trio lascia intravedere nuovi orizzonti, a colpire sono non solo i suoni leggermente più cauti rispetto a El Gringo, disco poc’anzi menzionato, ma che comunque martellano notevolmente anche in questo caso, ma anche l’abbandono dell’inglese a favore della lingua madre. Ognuno dei quattro brani dell’Ep non segue, dunque, del tutto quell’intento già prefissatosi in precedenza, dalle ruvide e gracchianti derive stoner si scivola verso un pop rock acuto e sincero, frutto del lavoro dei tre negli ultimi anni all’insegna della ricerca di nuove strade da percorrere. In casi come questo ci si spinge volentieri a pensare che gruppi come i Sumo facciano bene a suonare: non ci dimentichiamo che dietro ogni penna che versa inchiostro su un foglio su cui si scrivono testi e tablature ci sono persone che scelgono di volerlo fare, non c’è alcun tipo di costrizione, ed ogni parola e ogni nota sono sintomo di recondita voglia di dire la propria. Ecco, i Sumo sono questo.(Andrea Martella)
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Il Re Tarantola – L’artista irrimediabilmente nella merda (VolumeUp Agency)
“Io se avessi un figlio probabilmente me lo dimenticherei in autogrill”, ecco, prendendo spunto da questo verso di Agguati che apre l’EP in questione, possiamo tranquillamente dire che se avessimo il cd del Re Tarantula (Manuel Bonzi) sicuramente (e non probabilmente!), visto il pochissimo peso specifico, lo dimenticheremmo in autogrill. Testi nonsense che stufano già al primo ascolto, figurati al secondo. Piuttosto mi ricompro i dischi di Bugo anche se li ho già sullo scaffale. Paletti produce queste 4 canzoni che passano dall’andatura ciondolante della già citata Agguati, passando poi per vie più pimpanti e rock, chiudendo con l’andazzo da colonna sonora di Crank a 45 giri. Ne particolarmente ironico, ne particolarmente fresco, ne particolarmente divertente. Se poi mi si dice che è genuino, beh, allora datemi qualcosa di artificioso tutta la vita. (Riccardo Cavrioli)
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Bruuno – Belva (V4V-Records/Coypu)
Belva è l’EP d’esordio dei Bruuno, band post-math-hc di Bassano del Grappa. Il lavoro, uscito per la V4V, contiene sei tracce tese, per suoni e liriche. Avevamo già presentato qui su Indie-Roccia il video di Sete, il primo singolo estratto dall’EP e che già presentava le caratteristiche del gruppo: suoni duri e testi introspettivi. Bisogna essere pronti, prima di essere scaraventati via dalla potenza del quintetto veneto e fruire al meglio di Belva, che risulta essere un dischetto sorprendente e colto, per incastri sonori e scelte stilistiche. I testi sono la parte che più può essere apprezzata da chi non è abituato a certe sonorità (tra i riferimenti italiani citiamo The Death of Anna Karina, ma se ne potrebbero dire molti altri dell’ambiente hc). Ad esempio in Ruggire Come Le Porte, che forse non è il pezzo migliore dell’album, però quando Carlo urla ‘Mi spaventi quando prendi troppo seriamente certe cose. Le ragioni per partire, da te stesso sulle nuove storie’ magari non immediatamente, ma a pensarci bene, può venire la pelle d’oca. Come il ritornello di Sete: ‘Vuoi che tutto ti cada, vuoi che tutto ti cada. Che è quello che ti stanca, che ti cada, perché è tutto che ti stanca’ o ancora tutta Troppo Spesso Lento, che è una canzone scritta con una onestà e una consapevolezza devastante. È un disco che parla di paura, praticamente senza mai usare questa parola. Ed è una caratteristica comune alla maggior parte dei testi dei Bruuno, che devi ripeterteli per capirli, per afferrare, seppur in modo vago, a cosa si riferiscono. Aspettando il momento in cui, attraverso un’epifania tra chissà quanto tempo, avrai la sensazione precisa di aver capito cosa volevano dire. Roba da andarci in analisi. (Vittorio Lauri)
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Sweet Smell Of Shining – Fin Infinie (part 1) (Autoproduzione)
Due canzoni inedite e due cover di mostri sacri come Cure e Echo And The Bunnymen nel nuovo EP di Sweet Smell Of Shining, ora stabilmente nella formazione a duo, con Marco Ciardelli alla voce e Alessio Red Osculati alla chitarra e alle basi ritmiche. False Flag rimanda a dei Placebo quasi in versione industrial. Brano ipnotico, deragliante e visionario, con la voce che si fa lamento evocativo e le basi ritmiche si mescolano a ondate chitarristiche, mentre Unknow e più avvolgente e diventa colonna sonora di un fluttuare alla deriva. Più disperata e scarna la loro versione di Fascination Street, eppure non per questo meno suggestiva, mentre The Killing Moon perde quel senso di ballata e di romanticismo e diventa più fredda, oscura e tecnologica. Un nuovo biglietto da visita della band che prendiamo con piacere, in attesa di altre novità sonore. (Riccardo Cavrioli)
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