We Are Waves @Condor Club, Rubiera
Udii quella musica e la sentii entrarmi dentro, come se la sua astratta natura acquisisse una forma definita e concreta, al punto da penetrarmi dentro.
Udii quella musica e la sentii dominare il mio corpo e la mia mente, come qualcosa in grado di cancellare ogni percezione dello spazio e del tempo.
E’ stato un colpo di fulmine quello per i We Are Waves, o amore al primo ascolto se preferite.
E’ sabato 3 febbraio e la band torinese approda al Condor Club, in provincia di Reggio Emilia, location per me sconosciuta fino ad oggi. L’atmosfera del locale è decisamente accogliente questa sera per chi, come me, apprezza luci soffuse, nebbia artifciale, giochi di specchi. Un pubblico rigorosamente di nero vestito presenzia l’evento, attendendo in compagnia di un djset dal sapore anni ’80 coerente con la performance che di lì a poco si accingerà ad assistere.
I We Are Waves sono in formazione ridotta; l’influenza – quella brutta bestia – ha colpito la parte elettronica del gruppo (Cesare Corso alle tastiere e synth) che, quindi, dovrà farne a meno, così come dovrà ripensare ad una scaletta capace di non essere intaccata da questa mancanza.
“Saremo più post punk” ammette Fabio (Viax) Vassone, la voce del gruppo. E va benissimo così.
I We Are Waves diventano così un trio d’eccezione. Si aprono le danze con EMDR, opener dell’ultimo disco Cave.
Il centro della scena è fin da subito occupato da Viax attira i presenti con la sua estrosa figura: le sue espressioni e la sua mimica lo rendono un interprete autentico di uno spettacolo ove i sentimenti più variegati e cangianti diventano oggetto di una narrazione new wave, dalle tonalità intense, corpose, muscolari.
Così Something to lose regala un attimo fuggente di malinconia, non facilmente superabile da 1982 che segna un ritorno al passato della band.
Il pubblico appare quasi ipnotizzato da questa ondata sonora così potente e impetuosa. L’assenza della parte elettronica è ben compensata da un solido e prepotente basso che detta ogni trama, accompagnata dalla batteria che impone tempi e ritmi urgenti, assieme a irruente incursioni di una chitarra capace di disperdere energia a possenza.
E’ un gioco di emozioni, è un intrecciarsi di sensazioni: c’è turbamento in Beautiful nothing; disillusione in See the light; c’è passione e disperazione in Lovers loners losers.
I We Are Waves interagiscono tra loro e con il pubblico instaurano un legame che si manifesta in una danza costante ma mutevole ad ogni cambio ritmo; qualcuno accenna un timido labiale dei brani , qualcun’altro le intona sommessamente.
Dopo un’oretta abbondante si giunge al termine. “Time will tell if happiness is a just a melancholy hope…” cantano i We Are Waves in Healing Dance, ultimo pezzo prima di abbandonarci. Io non so dire se la felicità non è altro che una malinconica speranza, so solo che una serata così fa bene alla mente e al cuore. Voi che dite?