Villa’n’Roll 2016 @ Villa Fastiggi, Pesaro
Siamo stati alla seconda giornata del Villa’n’Roll di Pesaro. Il capoluogo di provincia più a nord delle Marche sembra essere una città musicalmente viva, sia per la varietà e ricchezza di gruppi, progetti e artisti autoctoni (serve dire i nomi? no dai, ormai non più) molto interessanti nel panorama (inter)nazionale, sia per la proposta di musica dal vivo. Sono di tutto rispetto le programmazioni di Stazione Gauss, Zoemicrofestival, Dalla Cira e In6ore, giusto per dirne alcune. Tra queste, emerge senza dubbio il Villa’n’Roll. Sabato 6 agosto 2016 la line-up del VNR16 schiera: Ben Seretan, Lady Ubuntu, Novamerica, I Cani, WOW.
Il Villa’n’Roll è alla sua sesta edizione e si svolge presso Villa Fastiggi, a Pesaro. Per chi non ha la macchina si può raggiungere la location con una navetta che si prende direttamente dalla stazione dei treni di Pesaro, prezzo 2€. La prima cosa che si nota una volta arrivati è che il posto è stupendo. In zona free entry c’è un prato ampio con area market, diversi stand per bere e uno centrale per mangiare, tavoli e panche per sedere, un piccolo palco dove si svolgono il concerto al tramonto e il concerto per la buonanotte. Il tutto è allestito con piacevoli scenografie e soprattutto immerso nel verde.
Qualche minuto dopo esserci ambientati (siamo intorno alle 19.30 circa) inizia il concerto al tramonto di Ben Seretan, sul palchetto della zona free. Ben Seretan è un cantautore statunitense che ho conosciuto per caso attraverso questa canzone su youtube e di cui mi sono immediatamente innamorato. Il live di Ben Seretan è fantastico, i suoni sono dolci, l’attitudine è decisamente punk (domanda ingenua: come fa un uomo con solo una chitarra e un microfono a fare tutto quel casino?) e le canzoni sembrano sincere e sofferte, connubio micidiale per quelli come me attratti da tutto ciò che è post-emozionale. Insomma Ben Seretan piace un casino, i presenti che sono circa una quarantina davanti al palco si affezionano immediatamente al personaggio – basta leggere il modo che ha di scrivere la propria biografia per farsi un’idea – e il concerto che ne esce è una preziosa perla di musica bella.
L’ultimo album di Ben Seretan si chiama Bowl of Plums, è uscito per l’etichetta italiana Love Boat Records & Buttons e la cosa simpatica e divertente è che andando al banchetto dopo il live per comprare il disco non si riceve una copia fisica del cd, ma un adesivo con scritta sul retro la password per scaricarlo dal bandcamp. Per chi si fosse perso la performance del buon giovane Ben in uno degli svariati concerti che ha fatto quest’estate nella penisola, potrà almeno parzialmente recuperare guardando il live in the Warehouse, registrato il 28 luglio.
Verso le nove e trenta – dopo una pausa che consente di fare cena con calma – aprono i cancelli per il main stage e i primi a salire sul palco sono i Lady Ubuntu, una band piemontese che propone un minimal elettro pop demenziale. Il live è irriverente e a tratti spiazzante, i testi sono cinici con una evidente tensione verso temi d’attualità. Lo stile dei Lady Ubuntu sfrutta molto le ripetizioni (sia testuali che sonore) e i giochi di parole, a volte geniali, a volte un po’ meno, riuscendo sicuramente bene nell’essere la parodia de Lo Stato Sociale. Non piaceranno a tutti, ma il loro lo sanno fare. Molti dei brani in scaletta sono contenuti nell’album Piuttosto che incontrarvi farei bungee-jumping (Biggie Records/Big Ramona – 2012) tra cui la malinconica È la maledetta solitudine, probabilmente una delle poche canzoni serie nel repertorio del trio. Nota di merito anche per il singolo che ha anticipato l’uscita dell’ep Epoca stupida e feroce (Periferica Produzioni/Blob.lgc – 2016) dal titolo Le passioni.
Tocca poi a Novamerica scaldare il pubblico prima dell’headliner. Novamerica offre un live più di sostanza rispetto ai Lady Ubuntu, presentando il suo esordio omonimo e portando il pubblico su un terreno molto differente. Novamerica (La valigetta – 2016) è un disco pop riuscito, a tratti psichedelico, in generale orecchiabile. Molto Beatles, un po’ Flaming Lips e decisamente convincente. Tolta qualche eccezione le canzoni sono forse troppo molto simili tra loro, ma il livello viene comunque tenuto alto dall’eccellente resa live dei brani, merito sicuramente di un buon songwriting ma anche delle qualità tecniche della band.
Sono le 23.20 quando Niccolò Contessa fa il suo ingresso sul main stage del VNR16. Ho visto I Cani pochi giorni prima al Siren Festival di Vasto e l’impressione è stata quella di un gran concerto, aldilà dei gusti, soprattutto per la capacità da parte di Niccolò di entrare in sintonia con il pubblico e l’energia positiva trasmessa dai musicisti sul palco. Tutto questo viene confermato anche dalla perfomance di Pesaro. La scaletta de I Cani si apre come si apre il disco Aurora (42Records – 2016), cioè con Questo Nostro Grande Amore, subito seguita da Protodobhisattva. Si sparano poi alcune cartucce storiche pescate sia da Il sorprendente album d’esordio de I Cani (42Records – 2011) che da Glamour (42Records – 2013), così che il pubblico inizia a scaldarsi con Le coppie, Wes Anderson, Hipsteria e Non c’è niente di twee.
Niccolò è sicuro di sé, si muove con disinvoltura e sembra addirittura stargli bene addosso la veste di popstar. Il ragazzino timido che cantava ho paura del buio soprattutto dal palco forse ha ancora paura, ma di certo ha imparato a non farlo vedere. Ed è probabile che proprio cantare quei testi l’abbia aiutato. Da questo punto di vista c’è una certa analogia con quanto successo ai Fast Animals and Slow Kids. Testi catartici per chi è sul palco ad urlarli, così come catartici lo sono per chi è sotto a pogare.
Il live prosegue con altri brani presi da Aurora, dando vita ad una sorta di intermezzo più rilassato: Una cosa stupida, Calabi-Yau, la title-track Aurora e Il posto più freddo, che ha un testo devastante e dal vivo rende tantissimo. La tensione viene risvegliata dai suoni acidi che ci hanno fatto amare il sophomore de I Cani, vengono quindi riproposte in ordine: Come Vera Nabakov, Post Punk con il consueto visual rielaborato dalla grafica di Unknown Pleasure dei Joy Division e il brano-dedica di Contessa alla scena post-hc nazionale o almeno ad uno dei suoi maggiori rappresentanti, ovvero FBYC (s f o r t u n a). Il singolo catchy Non finirà viene cantato da tutti, seguito dalla doppietta Finirà–Sparire che chiude Aurora. Riaccendono il pogo Corso Trieste con un finale bello tirato insieme ai cavalli di battaglia presi dal sorprendente esordio: I pariolini di 18 anni e Velleità.
A chiudere la scaletta uno dei pezzi più rappresentativi de I Cani, in cui abitualmente Contessa fa lo stage diving: ci troviamo tutti sotto al palco a seguire con la testa il giro di basso e urlare il testo di Lexotan vomitando via pensieri ansie e malumori, almeno per un po’. Perché sia chiaro, Lexotan è probabilmente una delle canzoni più speranzose di tutto il repertorio della band ed è qui che avviene la funzione catartica cui si accennava prima di alcune situazioni musicali. Urlare delle sofferenze, o meglio delle parole trovate da qualcun altro che per qualche ragione abbiamo l’impressione stiano parlando esattamente di noi e alle quali accordiamo noi un significato o un ricordo particolare, per poi spararlo via insieme ad altra gente che, più o meno, sta facendo la stessa cosa. È decisamente una bella sensazione.
La prima volta che ho visto I Cani dal vivo ero a Bologna, per una data del sorprendente tour d’esordio, nella primavera 2012. L’ingresso costava 10€ e Contessa suonò 35 minuti inclusa una cover di Max Pezzali. Uno spettacolo decisamente non all’altezza di tutto l’hype che c’era sul progetto in quel periodo. In mezzo ci sono stati due album, tanti tanti concerti e l’umiltà di mettersi in discussione. Possono non piacere (tolti due o tre pezzi clamorosi, non ritengo Aurora un capolavoro imperdibile) e ancora in molti non li mandano giù, ma hanno dimostrato di sapersi innovare, di avere una scrittura matura e inoltre di offrire uno spettacolo dal vivo decisamente valido. Il fatto di suonare in diversi festival non ne è la prova, anzi, spesso qualità della proposta e quantità di concerti o di sold-out non vanno di pari passo, ma sono contento di dire che non è più il caso de I Cani.
Si va via – mentre nella free zone ci sono i WOW a dare la buonanotte al pubblico del Villa’n’Roll – con la sensazione di aver assistito ad un bel concerto, disturbato solo a tratti dal vento che muoveva il telo dove si proiettava, ma soprattutto di essere stati e aver finanziato un bel festival, di quelli fatti con il cuore (ed è un piacere sapere che ce ne sono sempre di più, organizzati bene e con proposte musicali di qualità). Del Villa’n’Roll in particolare sorprende come l’evento sia pensato su misura dello spettatore. Da citare, con l’augurio che possa diventare una pratica diffusa, l’attenzione ecosostenibile del festival, infatti si serve da bere unicamente su bicchieri riutilizzabili (come spiegato bene qui). Bella location, zero fila per l’ingresso, poca fila per mangiare, atmosfera distesa. Insomma, tutti elementi che ti spronano a tornarci anche per la prossima edizione.