Mi Ami @ Magnolia, Milano, 24-26/05/2019

Passano gli anni e il Mi Ami assume sempre di più le sembianze di un vero festival all’europea, con quattro palchi, un’offerta musicale variegata, una buona ampiezza di scelta anche dal punto di vista culinario e modernità assortite come l’app con cui puoi già pagare i gettoni per i drink e devi solo andare a ritirarli. Anche l’attenzione data alla sostenibilità dei mezzi di trasporto per la location è sempre più alta, con bus navetta da e per Milano e accordi con compagnie di car e scooter sharing. Il festival organizzato da rockit è ormai sempre più uno spazio in cui si sta bene a prescindere da chi suona, e anche nella giornata di venerdì, che era sold out come l’anno scorso, non c’è mai stata la sensazione di sovraffollamento.

L’unico appunto da fare all’organizzazione, e non è di poco conto, è l’atavico problema di come si sente la musica suonata sul palco principale, tra volumi da oratorio e/o bilanciamento degli stessi ai limiti dell’improponibile. Personalmente, mi sembra impossibile pensare che non si possa fare di meglio, anche perché sugli altri palchi va tutto bene. Problemi di decibel a norma? Oppure di rischio di coprire il suono degli altri palchi? Non posso saperlo, ma il senso di frustrazione è ogni volta piuttosto forte e davvero qualcosa si deve poter fare.

Venerdì 24 maggio

Il primo artista in cui mi imbatto è Dola, sul secondo palco. La sua proposta ha molti degli elementi di tendenza tra le nuove leve della scena indipendente: un modo di cantare che è una sorta di bilanciamento tra canzone melodica e hip hop, una voce sgraziata ma non troppo, testi che raccontano di cose che capitano piuttosto normalmente a più o meno chiunque trattate come se fossero le più grandi sofferenze vissute sul pianeta Terra. Il suono è spigoloso, ma anche qui con criterio, e, nonostante io sia palesemente fuori età rispetto a un repertorio del genere, apprezzo il live perché ben eseguito dal punto di vista musicale e vocale e perché comunque, per quello che devono fare, le canzoni sono scritte bene.

La mia attesa in questa fase del festival, però, è tutta per Fulminacci, che arriva a seguire sullo stesso palco. Il disco mi è piaciuto molto, così come mi è piaciuto intervistarlo, quindi non vedo l’ora della prova del live. Filippo e la sua band sono bravi a proporre sul palco le loro canzoni in modo fedele al disco e con quel giusto impatto in più che deve aere la musica dal vivo. I suoni sono impeccabili, la voce anche, la scioltezza pure, e le sensazioni di naturalezza e talento che nascono dall’ascolto dell’album sono le stesse che accompagnano questo set. Bene anche la strutturazione della setlist, con i singoli messi nei momenti giusti, e la capacità di catturare l’attenzione del pubblico, con molti dei presenti che mostrano di conoscere bene le canzoni.

Mi reco subito al palco principale per gli Egokid, che propongono un set con solo canzoni tratte dal recente Disco Disagio. Ed è difficile dar loro torto per questa scelta che potrebbe sembrare radicale, perché non è solo un discorso di promuovere il disco, ma è che queste canzoni sono così travolgenti e trascinanti dal palco che è difficile non volerle fare. Di presenti sotto al palco non ce ne sono moltissimi, purtroppo, però chi c’è si gode dall’inizio alla fine un perfetto esempio di pop moderno e adulto che diverte, intrattiene e fa pensare al tempo stesso. Non è certo roba destinata alle masse, ma per chi ama ballare e far andare il cervello e/o aprire il cuore, ma per davvero però, non in modo superficiale, queste canzoni sono imprescindibili, e la prova live lo dimostra una volta di più.

C’è molta più gente per Clavdio, sempre sul palco principale, e anche per lui mi sento un po’ fuori età, però apprezzo il buon senso melodico, la voglia di mettere insieme in modo non banale le melodie vocali e quelle della parte strumentale e, dal punto di vista dell’esecuzione, la capacità di mettere in piedi un live solido e quadrato. Il cantautore romano è accompagnato da tre musicisti sul palco e il set è indubbiamente godibile e interessante.

Lo stesso non posso dire dei Coma Cose, per quanto mi riguarda il punto più basso dei miei due giorni di Mi Ami. Il problema è molto semplice, ovvero che è tutto troppo incentrato sulle parti vocali dei due protagonisti, e i due musicisti che sono lì a suonare potrebbero pure non esserci, tanto sono banali e senza sostanza le parti che vengono chieste loro di suonare, come se tanto l’importante siano le due tonalità vocali e le cose che dicono, e il resto è lì giusto perché uno spoken word non si può fare così spudoratamente, ma in pratica è come se lo fosse. Trovo inconcepibile e limitante rinunciare così spudoratamente ad avere una parte musicale con un minimo di sostanza quando ci si esibisce su palchi così grandi e di fronte a un pubblico così vasto, cosa che per loro ormai avviene sempre, non solo in questa occasione.  

Per fortuna c’è Giorgio Poi sul secondo palco, e lui sì che mette in scena una parte musicale di livello. Non ho mai ritenuto l’ex Vadoinmessico un songwriter puro di livello top, però le sue canzoni sono comunque discrete e, messe in questo contesto fatto da un perfetto timbro vocale e un suono magnetico, la loro resa è davvero qualcosa di importante. Il modo in cui Poi e la sua band mettono insieme sperimentazioni battistiane con tendenze internazionali più moderne è davvero spettacolare e efficacissimo, e la parte vocale è talmente vibrante e carismatica da dare ulteriore valore a tutto questo e portare i numerosissimi presenti in un mondo parallelo. Vengono bene anche le ospitate di Frah Quintale e Calcutta, per un set a dir poco trionfale.

È il momento dei Fast Animals And Slow Kids, che subiscono oltre misura il problema dei volumi bassi sul palco principale. Lo stesso Aimone se ne accorge in una delle sue consuete scorribande giù dal palco e si fa portare in crowdsurfing fino al mixer, dove, a suo dire, riceve un fermo diniego ad alzare il volume. In ogni caso ci ha provato e la gente apprezza. In generale, cercando di ascoltare ciò che esce dalle case, si nota molto il lavoro di arrangiamento live dei brani nuovi di cui la band aveva parlato nelle interviste di presentazione del disco, ma, appunto, per valutarne l’esito si dovranno attendere altre date con volumi più consoni. La band, comunque, ha sempre la grande abilità di andare via dritta e fluida, e anche se il loro consueto impatto stavolta possiamo solo immaginarcelo, si sente che l’esecuzione è scorrevole come sempre. La capacità di Aimone, poi, di coinvolgere la sua gente è sempre altissima, e tutti i presenti mostrano di essere assolutamente al fianco della band in questo loro nuovo percorso musicale.

Il mio venerdì finisce con una sola canzone di Giungla sul palco più piccolo, e, anche se è troppo poco per giudicare, rivedere le movenze di Emanuela su un palco e ascoltare il suo suono di grande impatto ma allo stesso tempo più pulito e attento ai particolari rispetto all’inizio mi ha dato belle sensazioni.

Sabato 25 maggio

Arrivo al Magnolia in tempo per godermi un quarto d’ora dei Tropea sul secondo palco. Ritengo da tempo la band milanese come una delle migliori proposte pop tra chi ancora ha poche canzoni pubblicate, e questo live è un’ulteriore conferma della mia opinione. Ritmi, melodie e parte vocale non banali e allo stesso tempo tremendamente efficaci, i presenti ballano e cantano senza freni e la band sul palco si diverte e fa divertire di conseguenza. Un progetto sempre più da seguire.

Mi sposto sul palco principale per un Auroro Borealo in gran spolvero, che ha messo insieme uno show denominato Festival di San Borealo, che è una scusa per proporre le proprie canzoni con i numerosi ospiti che le contraddistinguono (da Johnson Righeira a Ariele Frizzante, da Davide dei Diva fino all’immancabile Elton Novara), in un contesto capace di dare ulteriore buonumore. Tutti i tre quarto d’ora a disposizione di Auroro risultano esilaranti e densi di contenuti, sia satirici che strettamente musicali, e uno show così dimostra che è possibile voler fare i cretini mettendoci però attenzione, preparazione e sostanza comica e artistica. Davvero un momento memorabile che rimarrà tra i miei highlight assoluti della storia dei Mi Ami.

Un’altra band che conosco caratterizzata da una forte personalità ma con ancora all’attivo poche canzoni sono gli Janaki’s Palace da Borgomanero. Il loro slot sul palco più piccolo è in un orario perfetto per il mio programma e non me lo perdo. Anche qui, c’è una piena conferma di ciò che questo quartetto che ogni tanto diventa quintetto è in gradi di fare, ovvero musica avvolgente, stimolante, mai scontata eppure facilmente fruibile. Idee, tecnica e visione artistica sono cose che a questo progetto non mancano di certo, ed è il caso di attendere con trepidazione dove potranno arrivare con il tempo e con più canzoni pubblicate.

Anche Elasi è un progetto recente, ma, a differenza dei due precedenti, non la conosco e mi fido di amici fidati che ne parlano bene. La mia fiducia si dimostra ben riposta alla prova del live, perché semplicemente le canzoni che ascolto dal terzo palco del festival hanno davvero tutte le cose giuste per piacere, a me e non solo: melodie, voce, suoni e parte ritmica sono tutti di buon livello e sono mesi insieme perfettamente per creare canzoni brillanti e coinvolgenti, e c’è anche la necessaria varietà per tenere alta l’attenzione di chi ascolta dall’inizio alla fine. Davvero una bella prova e un nome che devo aggiungere alla mia lista di novità dal futuro roseo davanti a sé.

È ora il turno di Riccardo Sinigallia sul palco principale, e qui il problema è che i volumi sono bilanciati in modo assurdo, con le frequenze basse troppo in risalto e che coprono troppo tutto il resto. Aggiungiamoci che, per quello che si visto in questa occasione, probabilmente la natura stessa di questo set del cantautore romano non è adatta sicuramente al palco principale, ma probabilmente al Mi Ami in generale. Troppo raffinato, troppo cerebrale, con molti stacchi strumentali soprattutto nella parte centrale per essere pienamente apprezzato in un festival così, perché poi questi non sono difetti e quindi non è che ciò che ascolti non ti piace, però fai fatica a godertelo come vorresti in questa situazione. Riccardo è bravissimo come sempre, cerca anche di coinvolgere il pubblico di più rispetto al suo solito, e non sto dicendo che il suo set sia da bocciare, ma che purtroppo, per circostanze sia contingenti che strutturali, sarebbe stato probabilmente meglio non venirci proprio al Mi Ami.

Mi riporto sul terzo palco per seguire un altro progetto di formazione recente che non conosco ma di cui ho sentito parlare troppo bene per non volerli vedere ora che li ho qui, e sto parlando dei The Pier. Anche qui, prova superata brillantemente e nome messo nella lista di chi va seguito assolutamente. E devo dire che, se in questo report ho parlato spesso di modernità, varietà e attenzione alla parte ritmica, qui questi tre elementi sono ancora più presenti, e il live è quello di livello più alto tra tutti quelli che ho visto di progetti giovani in questi due giorni. Canzoni davvero irresistibili e ricche di dettagli ritmici, melodici e armonici capaci di soddisfare anche i palati più esigenti e di far agitare, ballare e divertire chiunque.

Tocca ora a Mahmood sul secondo palco, fresco di tutto ciò che sappiamo e alla prima data nella sua città da quando è arrivata la notorietà. L’emozione che prova il ragazzo di Gratosoglio è palpabile quando presenta le proprie canzoni e quando ringrazia i presenti per esserci, ma quando poi iniziano le canzoni esce in modo naturale il talento superiore, cristallino e unico di cui questo artista fantastico è dotato. Accompagnato dalla stessa band che, come dice lui stesso, aveva quando faceva musica in un garage, Alessandro è un performer intenso e carismatico, e il suono che gli mettono a disposizione i suoi amici musicisti è quello giusto per valorizzare le sue doti straordinarie. 50 minuti in cui viene da dire “siamo tutti testimoni” della concretizzazione, sotto ai nostri occhi, di un qualcosa che ha tutte le carte in regola per lasciare un segno profondo sulla musica di oggi e su quella degli anni a venire. Le prestigiose ospitate di Sfera Ebbasta e di Guè Pequeno sono un’ulteriore certificazione di qualità per Mahmood, perché, al fianco di artisti che, piacciano o no, sono chiaramente affermati e punti di riferimento, il talento di Alessandro brilla di luce propria, e lo so che ho scritto la parola talento troppe volte, ma davvero chi era lì con me lo capirà che non si può fare diversamente, e tutti gli altri lo capiranno presto.

Al termine della performance di Mahmood, sono pochissimi quelli che si spostano, perché tutti gli altri vogliono essere presenti anche per MYSS KETA. Per una volta, spero che mi possa essere concesso, farò un discorso di mero gusto personale: le canzoni dell’artista milanese mi risultano di effetto troppo breve, nel senso che le prime due o tre sono carine e sicuramente si apprezza la costruzione musicale che ci sta dietro e il carisma sul palco della MYSS. Ma, un po’ come quei chewing gum dentro le palline che si prendevano alle macchinette, dopo altre due o tre canzoni sembra di masticare una gomma insapore e l’interesse svanisce completamente. Ripeto, giusto personale mio, dal punto di vista oggettivo non me la sento di dire niente al progetto, musicalmente ci siamo e la protagonista è molto smaliziata sul palco e sa mettere in scena la propria parte in modo perfetto. Però io proprio non ce la posso fare, e dopo questa manciata di canzoni saluto il Mi Ami 2019 rimanendo nel complesso molto soddisfatto, anche se mi dispiace perdermi la giornata di domenica, che come nomi era la mia preferita. Se poi l’anno prossimo troveranno il modo di eliminare i problemi di resa sonora del palco principale, sarà tutto perfetto.

Domenica 26 maggio
di Vittorio Lauri

Terzo giorno di Mi Ami 2019, domenica pomeriggio: la collinetta ospita Canarie, il nuovo progetto di Andrea Pulcini (Vincent Butter, Persian Pelican) e Paola Mirabella (Honeybird & the Birdies) che ha da poco fatto uscire il disco d’esordio Tristi Tropici. I due artisti confermano di avere classe, gusto e talento e va dato atto alla direzione artistica del Mi Ami, in un’edizione in cui l’avant pop e un approccio più situazionista alla musica – con risultati sia ottimi che discutibili, a seconda dei progetti – hanno avuto un peso maggiore nelle giornate di venerdì e sabato, di aver puntato soprattutto per la programmazione della domenica verso una direzione orientata alla qualità più che all’hype e alle tendenze. Canarie è un progetto fuori dal tempo, da ballare abbracciati o ascoltare in silenzio. Menzione speciale per il brano Penisola.

Il palco Pertini (ora palco Tidal) viene aperto da Giovanni Truppi che presenta il disco Poesia e Civiltà accompagnato dalla band. Chi ha già ascoltato il disco dovrebbe aver presente come il cantautore campano sia cresciuto in questi anni, abbandonando (mai del tutto in realtà) l’ironia e affrontando i suoi temi di sempre con una lucidità e consapevolezza diversa: lavoro, famiglia, l’essere giovani, la religione, il crescere, l’ansia o la paura del futuro sono cantati con un approccio meno provocatorio, più maturo. Ma in un ambiente musicale dove quasi tutto è diventato performance e provocazione, forse la scelta di Truppi è ancora più forte. Sul finale Superman e Stai andando bene Giovanni fanno fare un bel salto indietro nel tempo ai presenti.

Purtroppo il live di Any Other in collinetta inizia con delle difficoltà acustiche, poi più o meno risolte nel corso dell’esibizione. Adele si conferma tra i progetti più apprezzati nel campionato “italiani che cantano in inglese” e praticamente tutti i brani dimostrano un songwriting fuori dal comune. Something, Capricorn No, Walkthrough sono già instant classic.

Il bello dei festival è avere tutto a portata di mano, ma tra saluti, birrette, fare cena, bisogna fare delle scelte e rinunciare a qualcosa, oppure stare poco in più posti possibili. Peccato che, come già detto, gli artisti della domenica offrono quasi tutti un live in cui bisogna immergersi e che vissuto con distacco non permette di beneficiarne a pieno. Discorso che vale per Eugenia Post Meridiem (dal poco che ho visto una delle nuove proposte più convincenti di questo Mi Ami), Di Martino, Ginevra, Andrea Laszlo De Simone.

Arriva il momento dell’headliner: il nome fuori quota, quello che non ti aspetti al Mi Ami (o meglio, sai che un nome così ci sarà o almeno ci speri, come poteva essere stata Carmen Consoli nel 2017): Luca Carboni sul palco Tidal. Il tour è quello di Sputnik, disco uscito a giugno dello scorso anno e quella al Mi Ami è la prima data estiva dopo un lungo tour invernale nei teatri per l’artista bolognese. La scaletta inizia con Segni del tempo poi tra nuove hit e brani cult del passato arrivano Bologna è una regola, Il mio cuore fa ciock, Silvia lo sai, Luca lo stesso. Carboni è divertente e divertito, la band gioca con pubblico e strumenti, il live dalle prime file suona bene. A sorpresa salgono sul palco Dario Faini aka Dardust e Giorgio Poi per la canzone Prima di partire di cui entrambi sono coautori. L’occasione è anche di andare a riprendere la carriera di un artista raro, che ha attraversato diverse fasi, di successo e di silenzio, di cadute e vittorie, attraverso canzoni che ancora oggi ci possono fare stare meglio. Il finale è affidato a brani iconici di Luca Carboni: Una grande festa, Ci vuole un fisico bestiale, Mare Mare, Fragole buone buone.

I live sugli altri palchi terminano (purtroppo il concerto de La rappresentante di lista in collinetta era in contemporanea a Luca Carboni), poco dopo la mezzanotte sul palco Retro, affidato a Spaghetti Unplugged, sale Cimini per far ascoltare ai presenti alcuni suoi brani remixati, in particolare il nuovo singolo Anime Impazzite.

Si chiude quindi la quindicesima edizione di un evento in continua evoluzione, sempre aperto verso l’esterno, quindi criticabile, forse controverso, che azzarda, scommette e sbaglia, ma che è sicuramente uno specchio fedele delle diverse anime che continuano a far vivere un certo tipo di musica, o meglio un certo tipo di approccio alla musica, oggi in Italia. Ancora una volta, anche quest’anno, grazie Mi Ami.

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