Urali – Persona

Genere: Bedroom metal

Protagonisti: Ivan Tonelli, boss della Stop Records e, tra le altre cose, chitarrista dei Cosmetic per il tour di Nomoretato. Su To Lose La Track non c’è niente da dire, il catalogo parla da sé, mentre due parole sull’etichetta di Ivan si possono anche spendere, perché esistono le etichette che producono dischi, poi esistono le etichette con un progetto riconoscibile, che producono dischi con un’idea di musica personale e coerente: la Stop Records è una di queste. Forte del merito di aver prodotto i due album dei Talk to me, ora sciolti, la label romagnola si occupa di folk e (soprattutto) delle sue contaminazioni, derivazioni e superamenti: Jarred the Caveman, New Adventures in Lo-Fi, poi la recente uscita di Giona e il punk da riviera dei Girless & the Orphan. Da citare a proposito di Stop Records anche lo shoegaze agrodolce del progetto Shelly Johnson Broke My Heart di cui lo stesso Ivan ha fatto parte.

Segni particolari: Persona è il secondo disco di Urali, il one man project di Ivan Tonelli, uscito l’11 gennaio 2016, a due anni di distanza dall’apprezzato esordio omonimo. In questi due anni Urali ha girato molto per tutta la penisola, lasciando nel giugno 2015 anche una bella cover di Far From Any Road, canzone dei The Handsome Family sigla della serie True Detective. Persona è stato registrato tra lo Stop Studio e il Cold Storm Studio con il supporto di Andrea Muccioli e Steve – già collaboratori per il primo disco – che suonano rispettivamente le percussioni e i synth nel singolo Mary Anne (The Tailor). Hanno poi preso parte alle altre canzoni lo stesso Steve che suona la chitarra fuzz in Hector (A Friend), Dimitri Reali per le percussioni nella conclusiva Meadow (Nightwalk in Rome) e Micheal Barletta dei Lantern alla chitarra classica in LZ (A Year of Living Dangeorously) che da vita a un sorprendente duetto tra corde.

Ingredienti: se da un lato la formula di Urali rimane fedele al percorso intrapreso, da un altro punto di vista il campo in cui Ivan si muove viene esteso, con risultati importanti. Rimangono i riverberi, i fuzz, la voce sopra la righe e il timbro vocale pungente, il tutto per costruire delle melodie orecchiabili incastonate in un garage morbido ma comunque elettrico – elemento, l’elettricità, comune a tutte le canzoni.
Pur mantenendo quasi gli stessi ingredienti dell’esordio, il ventaglio di atmosfere proposte si arricchisce, come dimostra il curioso dark-folk del doppio episodio di Hector, quasi una canzone unica formata da due parti, consecutive: (Horror Vacui) e (A Friend).

Densità di qualità: anche dal punto di vista testuale c’è una maturazione, o comunque un percorso, rispetto al primo lavoro, che può essere definito un concept sui luoghi attraversati da una stessa storia (i titoli delle canzoni sono infatti The City, The Place, The Town) – e forse non c’entra nulla ma il nome stesso del progetto rimanda ad un interesse geografico. Con Persona l’attenzione si sposta dai luoghi agli uomini e donne che danno il titolo ai brani, diventando un concept album che raccoglie storie totalmente o parzialmente rintracciabili nella realtà come riportato dal comunicato stampa. Una nuova conferma, questa scelta tematica, della grande capacità narrativa e metaforica di Ivan.
Come non tutte le canzoni di Persona sono immediate allo stesso modo, non tutte le persone che incontriamo ci piacciono già dal primo incontro. Ci sono quelle con cui trovi un’intesa immediata, come Mary Anne (The Tailor), quelle che non ti dicono niente perché sono più timide, come Catherine (How To Menage Anger). Perché forse se la nostra ragazza ci venisse presentata questa sera magari la considereremmo una vanitosa snob, così come i nostri amici, se non li conoscessimo da quindici anni, ci sembrerebbero il più delle volte degli idioti – e ancora di più noi a loro. E se in Persona ci sono delle tracce che all’inizio non ti colpiscono, probabilmente arriverà il momento in cui avrai bisogno proprio di quel riff, di quella voce, di quelle parole, insomma proprio di quella traccia lì.
Persona stupisce perché fa emozionare, perché Urali ti dà l’illusione di fare cose semplici quando invece è tutto studiato, incastrato e sovrapposto, perché c’è una voragine assurda tra la voce e il suono della chitarra, tra quello che vediamo di una persona e tra quello che una persona realmente è, una voragine in cui gli opposti non solo si incontrano, ma vanno pure d’accordo, dando vita a un album pazzesco per coraggio e originalità, assurdo e soprattutto bello.

Velocità: un’elettrica e spigolosa mezz’ora di quiete.

Testo: ‘I’ve always painted you as a leafy forest / limitless for the eyes, incomplete for the heart / I’ve always painted you as the deepest ocean / no man has ever discovered your heart of darkness’ da Catherine (How To Menage Anger)

Dichiarazione: a proposio di voragini, parlando della canzone Francis (A New Neighbor) “Ho scelto di tenere la voce tutta a destra e la chitarra a sinistra perché lo fa Arthur Russell in molte sue registrazioni e volevo provarci anche io. Se ancora mi piace suonare, scrivere canzoni e condividerle con gli altri è senz’altro grazie anche ad Arthur Russell; era un pozzo di soluzioni musicali fuori di testa, un genio, non meno dei Beatles, di Bach o Beethoven. Rubargli qualche idea è sempre gratificante. È forse il pezzo più pop del disco se si isola la voce; e parla sul serio della mia vicina di casa.” dal disco raccontato per DLSO.

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