Fusch – Chemical Light

GENERE: post-rock, neo-psichedelia.

PROTAGONISTI: Maria Teresa Regazzoni (voce, tastiera, synths, piano, loops), Simone Romanelli (chitarre elettrica e rezophonic, armonica) e Pier Mecca (batteria, percussioni, flauto, loops). Ha preso parte alla realizzazione del disco anche Massimo Panella al basso.

SEGNI PARTICOLARI: dopo Corinto (2012) e i tre step di Mont Cc 9.0 (usciti a cavallo tra il 2013 e il 2014) arriva Chemical Light, anche questo produzione, come ovviamente gli altri, della Jestrai Records di cui la Regazzoni è al timone da sempre. Il disco è stato registrato e mixato da Alessandro Dentico nel solito ambiente suggestivo della Ca Desdocc, la cascina di montagna fulcro della nascita di tutti i brani della band e masterizzato presso la Henhouse Studio da Alberto Ferrari.

INGREDIENTI: la lenta ed ipnotica Mantra spiana la strada nel modo più emblematico possibile, tutto sembra grondare quelle caratteristiche fuschiane vere e proprie: riff di batteria cadenzati, chitarre non troppo complicate con effetti ad hoc, tastiere mai fuori luogo e la voce della Regazzoni perennemente al limite tra il mistico e il reale. È un po’ tutto racchiuso qui, nella discografia dei Fusch, è un equilibrio che protende un po’ da un lato e un po’ dall’altro. Il disco ha un alto tasso di varietà complessiva, basti pensare alla ballad dalla forti venature romantiche dal titolo Formalità, con le note del pianoforte della Regazzoni che ne rappresentano l’incipit pongono come una frenata sulle ritmiche del tutto diverse del resto del disco e permettono a chi ascolta di rilassarsi prima di riprendere col rock’n’roll di Neptune. I due singoli estratti, senza dubbio gli episodi più interessanti del disco, Ghost Ride e l’omonima Chemical Light, hanno entrambi peculiarità simili, con le solite ritmiche che tanto piacciono ai fan della band bergamasca ormai rispettatissima nel panorama musicale a cui appartiene.

DENSITA’ DI QUALITA’: dopo Corinto, ma soprattutto in seguito alla trilogia dallo stranissimo titolo, Mont Cc 9.0, è da ammettere che ci si poteva aspettare qualcosa di più dai Fusch. Quando una band, giunta al quinto disco e con alle spalle diversi anni di carriera, non dimostra di voler andare al di là del punto da cui è partita, significa che sta bene dove sta, che crede ancora fortemente a quei brani con quei suoni che danno vita a quei dischi. Punto. È vero anche, però, che per quanto possa essere piacevole una tale caratteristica, allo stesso tempo questo palesa un limite non indifferente che si potrebbe ovviare con la semplice sperimentazione e voglia di dar vita a qualcosa a cui, sinora, non si è dato vita. Si faccia attenzione al fatto che non si tratta di un limite tale da permettere agli eventuali gruppi in questione di essere sminuiti: pensiamo ad esempio ai Sonic Youth che per decenni hanno proposto esattamente sempre la medesima fantastica solfa e non credo che qualcuno li abbia mai odiati per questo. Il nostro è solo una sorta di consiglio, definiamolo così, da parte di un amante del genere musicale preso in esame e soprattutto dei Fusch.

VELOCITA’: come in ogni disco dei Fusch ci si imbatte in brani più veloci, da pogo, ed altri più lenti, ipnotici, riflessivi.

IL TESTO:Vorrei guardare la tua faccia grondante di sudore, in uno sguardo di stupore, in una smorfia di dolore. Vorrei vedere il tuo altare sprofondare in fondo al mare, non ti verrei a salvare, ti lascerei affogare”, da Black Star.

LA DICHIARAZIONE:La ‘Chemical Light’ è una luce forte, invitante, accattivante, ammiccante, veloce e sinuosa. Detto così è una figata pazzesca ma il tutto è solo un bluff; la luce è stata “trattata”, non è più una luce solare, è più una luce delle tenebre, e se tu abbassi la guardia finisci per diventare il soldatino perfetto della Chemical Light”, le parole di Pier Mecca in un’intervista rilasciata a Mescalina.it

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