Fabio Cinti – Forze Elastiche

GENERE: cantautorato pop/rock massimalista.

PROTAGONISTI: all’album, prodotto da Paolo Benvegnù, hanno partecipato Nada Malanima, The Niro, Massimo Martellotta (Calibro 35), Alessandro Grazian e Giovanna Famulari.

SEGNI PARTICOLARI: quinto album per Cinti, che è stato molto prolifico negli ultimi anni: il primo album è del 2011 e ci sono anche un EP, un racconto e una lunga collaborazione con Morgan, che comprende tutto il periodo a X Factor del leader dei Bluvertigo.

INGREDIENTI: le influenze principali di Cinti sono tre: il Benvegnù più massimalista, quello di Herman per intenderci; la linea che unisce Battiato e Morgan e il percorso che parte da Luigi Tenco e arriva ai Non Voglio Che Clara; ogni tanto, poi, appare una spruzzatina di CCCP. Detti riferimenti possono manifestarsi da soli, ma più spesso le canzoni sono un misto tra due di essi, o tra tutti e tre. Le melodie e il timbro vocale possono, pertanto, essere più classicheggianti o maggiormente enigmatici; le chitarre, gli archi, le tastiere e i synth entrano e escono a piacimento, e alle volte uno di questi strumenti si prende la scena, ma è molto più frequente un’interazione tra i diversi strumenti; i testi partono dall’osservazione del particolare per allargare la trattazione a tematiche universali. Si tratta di un disco molto ambizioso, che vuole portare l’ascoltatore a immergersi in mondi musicali diversi e a riflettere su quanto il quotidiano possa influenzare l’andamento della storia, ma senza che questa erudizione sia ostentata: al contrario, si percepisce la voglia di far sì che le canzoni risultino fluide e accomodanti nei confronti dell’ascoltatore, grazie a un suono arioso e a armonie che conferiscono grande pulizia e rotondità, anche negli episodi in cui il suono e le melodie sono, volutamnte, meno definiti. Anche il fatto che ci siano 20 tracce non deve spaventare, perché ci sono diversi intermezzi brevi tra esse, quindi la durata non è eccessiva.

DENSITÀ DI QUALITÀ: si potrebbe rilevare che Cinti fa vedere un po’ troppo le proprie influenze, e anche che i brani non sono esattamente legati tra loro, col risultato che, musicalmente, l’album sembri più un collage che un insieme di canzoni unitario che va a comporre un disco. Però, non ci si può che togliere il cappello di fronte a canzoni così affascinanti, di livello qualitativo così alto, e che soprattutto mostrano la capacità di veicolare l’ambizione in modo tale che essa non sia mai fine a se stessa, ma risulti sempre funzionale a un’idea artistica forte e alla descritta impostazione dei testi. In un’epoca nella quale la nobile arte di scrivere canzoni e raccontare storie è sempre più utilizzata a mero scopo di intrattenimento, ben venga un lavoro come questo, anche perché dimostra che si può innalzare il livello e riuscire a far sentir bene l’ascoltatore anche dandogli spunti per una riflessione più approfondita rispetto all’introspezione personale o al lato più ludico della vita.

VELOCITÀ: molto varia, c’è di tutto anche da questo punto di vista.

IL TESTO: davvero difficile scegliere un passaggio che rappresenti appieno il disco, scegliamo questo perché, nella sua brevità, è particolarmente esemplificativo dell’attitudine dell’opera “Dimmi vita, quante altre vite contieni?” da Il Lamento Di Peter Parker.

LA DICHIARAZIONE: All’interno della lunga presentazione del disco, c’è un passaggio che più di tutti fa capire la natura di quest’opera: “”Allargare sempre più le distanze, fino a vincere completamente proprio quelle forze che ci costringono nel luogo illusorio dove risiediamo, è nostra sorte e destino e sarebbe un compito se solo divenissimo coscienti”.

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