Calcutta – Mainstream

GENERE: pop, songwriting

PROTAGONISTI: Edoardo Calcutta

SEGNI PARTICOLARI: secondo album per il cantautore di Latina, il primo era passato piuttosto sotto silenzio al di fuori dei confini regionali, mentre questo sta riscuotendo un grandissimo successo nel panorama indipendente.

INGREDIENTI: il primo Vasco Rossi, inizio anni ‘80, brutto e nichilista, senza niente da perdere (nei pezzi come Milano e Frosinone); tantissimo Niccolò Fabi e scuola romana (in Cosa mi manchi a fare, per esempio); in Milano, sul finale viene in mente Will Sheff nei primi Okkervil River, epoca Don’t Fall In Love With Everyone You See; inoltre, Le Barche potrebbe essere il pezzo più Venditti che si sia sentito negli ultimi anni, se non contiamo Grande Raccordo Anulare di Guzzanti. Nello specifico, troviamo un timbro vocale non perfettamente a fuoco dal punto di vista della tonalità ma non a tal punto da poter essere definito stonato, un suono a metà strada tra la cura del dettaglio e il minimalismo e testi che inanellano una serie di immagini non perfettamente collegate tra loro ma il cui insieme è in grado di creare associazioni mentali nell’ascoltatore. Gli aspetti che caratterizzano maggiormente il disco sono un tocco melodico molto più tendente al pop rispetto al solito e, oggettivamente, molto ispirato e la presenza di alcuni intermezzi elettronici al limite del rumorismo.

DENSITÀ DI QUALITÀ: il limite tra spontaneità e furbizia è sempre molto labile, a maggior ragione oggigiorno, quando certe cose le hanno fatte ormai davvero in troppi, spesso attirando l’attenzione di una fetta ben specifica di appassionati. Si assume un timbro vocale che bada poco alla precisione perché si canta col cuore o perché non si è capaci di cantare? Si propone un suono un po’ curato e un po’ no per valorizzare i contenuti artistici delle proprie canzoni o perché è la moda? Si cantano testi poco concreti ma non del tutto astratti perché questa è la cifra stilistica più adatta per esprimere le proprie turbolenze interiori o perché così è facile far drizzare le antenne di chi apprezza coloro che fanno esattamente lo stesso? Non è mai corretto giudicare il valore di un disco facendo un processo alle intenzioni, però è anche difficile non formarsi un’opinione rimanendo avulsi dal contesto quando si ha a che fare con una proposta come questa. Perché poi ti trovi i momenti con le parole pronunciate in modo serrato per tentare di farle stare in metrica, ti trovi certe rime che sembrano fatte apposta per non passare inosservate (Medjugorje/De Gregori e Garda/mansarda su tutte), ti trovi certi argomenti e persino certa terminologia che sembrano quasi le password senza le quali è impossibile godere di un’attenzione ampia, e come può non venire il dubbio che questa persona stia facendo il furbo, che qui di genuino non ci sia niente, che non essendoci dietro il talento necessario a realizzare un lavoro di qualità, tanto valga puntare al bersaglio grosso. Cercando di essere più obiettivi possibile, la cosa che senz’altro bocciamo sono i testi, ai limiti dell’inascoltabile, mentre per il resto è difficile puntare apertamente il dito contro Calcutta e accusarlo sulla base di dubbi, seppur fondati, più che certezze. Il best case scenario è che sia solo uno molto scarso con le parole ma con una visione cantautorale molto buona e contemporanea, e questo solo il tempo saprà confermarlo o meno.

VELOCITÀ: costantemente medio bassa

IL TESTO:Noi a questa America daremo un figlio che morirà in jihad” da Frosinone.

LA DICHIARAZIONE: Ho scoperto che sono un arrangiatore decisamente di maniera” da un’intervista a Rockit.

2 Comments

  • om ha detto:

    Mah, l’unica cosa che conta è se piace o meno quando lo si ascolta, ok, state facendo una recensione, non dico che dobbiate dire solo bello o brutto, ma sarebbe interessante entrare nel merito del disco, disquisire sulla sincerità o falsità presunta dell’autore (ciò che fate per circa il 90% del pezzo) è poco più che una chiacchiera.

    A voi il disco non è piaciuto, benissimo così, a me molto, come era piaciuto il primo, molto più lo-fi e “psichedelico” apprezzo sia i testi che la musica e la scena indie cantautoriale italiana nel 90% casi mi fa pena.

    • Stefano Bartolotta ha detto:

      Secondo me nel merito del disco ci siamo entrati eccome, tra l’altro l’aspetto positivo di utilizzare uno schema come il nostro è proprio quello di essere costretti a descrivere il disco in modo oggettivo nella sezione ingredienti e questo abbiamo fatto, poi in densità di qualità diciamo se ci è piaciuto o no e perché, noi abbiamo specificato che “Non è mai corretto giudicare il valore di un disco facendo un processo alle intenzioni, però è anche difficile non formarsi un’opinione rimanendo avulsi dal contesto quando si ha a che fare con una proposta come questa”, e i nostri dubbi li abbiamo ben spiegati, lasciando in sospeso il giudizio definitivo su questo artista per quando uscirà un prossimo disco. Insomma, con tutto il rispetto, mi permetto di dire che la percentuale del 90% riferita alla discussione sulla genuinità non è affatto corretta

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