Interview: There Will Be Blood

Lo scorso 10 giugno è uscito, su Ghost Records, Horns, il lavoro più recente dei There Will Be Blood che completa la trilogia su un viaggiatore alla ricerca della propria redenzione. L’occasione era propizia per uno scambio di domande e risposte via mail, dal quale emergono alcuni importanti aspetti su come lavora questo trio attivo ormai dal 2009.

Finalmente portate a compimento il concept iniziato cinque anni fa: lo sviluppo della storia era già deciso fin dall’inizio oppure avevate imbastito solo le linee generali e vi siete fatti potare dall’ispirazione del momento per definirne i particolari?
Sapevamo di voler scrivere una storia di lungo respiro, il nostro primo EP si intitolava Prologue ed era il prologo della storia, quindi già dall’inizio decidemmo di impostare più concept albums collegati. Quando siamo arrivati al secondo abbiamo cominciato a sentire il richiamo de “LA TRILOGIA”. Ritorno al futuro, StarWars, La trilogia del dollaro, Indiana Jones… il 3 è un numero molto potente, perfetto per raccontare una storia, e quindi abbiamo deciso che con Horns avremmo concluso le vicende del viaggiatore solitario.
La storia si è sviluppata col tempo, sapevamo dove avremmo voluto arrivare, ma l’idea del colpo di scena finale e molti dei personaggi con cui il protagonista senza nome si è scontrato sono arrivati mano a mano.
Concentrarci sulla produzione delle musiche genera un processo creativo che stimola anche l’invenzione dei testi. Cominciamo a calarci sempre di più nel progetto, ed è in quel momento che tutto acquista un senso univoco.

Dal punto di vista musicale, già recensendo il precedente disco puntavamo molto sulla varietà, ma qui sembra proprio che abbiate voluto spingervi ancora oltre da questo punto di vista. È così?
Sì è esattamente quello a cui volevamo arrivare. Abbiamo voluto metterci alla prova e scoprire fino a dove avremmo potuto arrivare senza perdere il nostro stile. Qual è il sound TWBB? E’ qualcosa di versatile? Qualcosa di declinabile? Se suoniamo un genere che non ci appartiene, siamo in grado di farlo nostro tanto che chi lo ascolta riconosca il nostro tocco?
Tutte domande alle quali abbiamo voluto provare a rispondere.
Siamo una band attiva ormai dal 2009 ma stiamo ancora crescendo e speriamo di farlo ancora, con ogni disco abbiamo voluto evolverci e migliorare, e per farlo è necessario oltrepassare i confini di quello che già è stato fatto. Altrimenti dove starebbe il divertimento?

Immagino che, per quanto detto sopra, sia stata importante anche la presenza di un set strumentale più ampio, però non penso proprio che si possa ridurre tutto a questo, non è che più strumenti ci sono, maggiore è la varietà. Vi chiedo di dirmi quello che volete su questo aspetto.
Nel nostro caso, in Horns, non ci siamo limitati ad aggiungere nuovi strumenti. Permettici di usare una similitudine ben poco colta ma molto efficace: se prendi una pizza e ci metti sopra una volta le olive e una volta i funghi, sempre una pizza resta, sono due sapori diversi e ti danno due sensazioni diverse, ma non è un cambiamento sufficiente. Quello che volevamo fare noi era cucinare qualcosa di nuovo, un esperienza nuova, che nascesse da quello che avevamo assaggiato da altri artisti.
Poi va da se che non puoi cucinare un piatto indiano senza usare certe spezie, così come non puoi fare un pezzo funk senza gli ottoni, ma non è per nulla vero il contrario: non basta il coriandolo per fare di un cuscus una tajine, non basta un’ armonica per fare di una canzone triste un blues.
Come dire: uno strumento in più diventa indispensabile solo se in fin dei conti è superfluo. Se il pezzo funziona già così com’è, se sta in piedi, se gasa, allora vale la pensa di aggiungere qualcosa, e se hai aggiunto la cosa giusta finirà che non potrai più farne a meno.

Come nasce una vostra canzone? Se c’è un processo più o meno definito, è cambiato nel corso degli anni?
Come dicevamo, siamo cresciuti molto in questi anni, e stiamo ancora crescendo. Col tempo siamo diventati più consapevoli delle nostre capacità e ci siamo resi conto di cosa ognuno di noi sapeva fare bene, oltre che capire cosa ci piaceva fare o cosa no, in questo modo si sono delineati i ruoli di ciascuno all’interno del processo creativo di ogni pezzo. Ovviamente ci sono molte eccezioni ma la maggior parte delle idee nasce sulla chitarra di Riky (il chitarrista principale), mentre la suona a casa o mentre improvvisa in sala prove. Da quei primi riff comincia a svilupparsi una canzone vera e propria grazie a Mattia (batterista), che si aggiunge a Riky e comincia a svilupparne la dinamica e ad impostarne il ritmo e il carattere del brano. Una volta che il pezzo comincia ad avere uno scheletro solido per Davide (voce) è più semplice inventare e sperimentare diverse ipotesi di melodia. Si arriva poi ad un punto in cui, o il pezzo è finito, oppure sono nate talmente tante altre idee che si riparte da capo, arrivando a qualcosa di completamente diverso. I testi seguono alla fine.

Visto che la canzone deve chiaramente legarsi al concept, immagino sia più difficile del normale dover eventualmente scartare un pezzo che non sta venendo bene. Avete avuto effettivamente questo problema?
Mai… se un pezzo non ci convince per come suona lo cestiniamo senza remore. Non abbiamo mai concesso al testo o alla storia di guidare la musica. Da sempre la gerarchia è stata chiara e lapidaria: prima la musica, poi il testo. I nostri dischi vanno sentiti nella pancia e nei piedi. La storia è qualcosa in più che quasi nessuno indagherà mai, di questo siamo consci e ci va benissimo così, pochissimi tradurranno i testi, e quasi nessuno li capisce dal vivo. Non è quindi il caso di aggiungere un brano al disco solo perché ha un testo importante. Piuttosto troviamo il modo di raccontare la stessa cosa in un altro modo, riscrivendola da capo su una nuova musica.
Chiederete voi: ma allora che senso ha dare così tanta importanza ai testi e spendere così tante energie se poi sappiamo che verranno ignorati?
Perché è più divertente, è una sfida maggiore, è meno banale e soprattutto perché a Davide piace molto raccontare storie e inventare personaggi assurdi.

Mi sembra che la prima metà del disco contenga i brani più spigolosi, mentre la seconda quelli più morbidi e melodici, quasi fossero il lato A e B di un vinile. Mi confermate o smentite questa mia impressione?
Impostare la scaletta del disco è sempre un’operazione delicata che arriva alla fine del processo di registrazione. Diciamo che la disposizione dei pezzi tiene conto di vari fattori, sicuramente l’alternarsi di momenti energici a momenti più soft (se così possiamo chiamarli) oltre anche a una dinamica di accordature. Cerchiamo di posizionare i pezzi con le stesse tonalità in momenti diversi, lontani fra loro, per dare un ulteriore varietà nell’ascolto dei brani. A parte questi aspetti più tecnici, si aggiungono ovviamente i gusti personali di ognuno di noi e anche delle posizioni preferite “rituali”, qualcuno è fissato con la numero 8, qualcuno che vuole la 10…
Dividere il disco in due con una lato più soft dell’altro non è stata una scelta consapevole, e non ce ne siamo mai nemmeno resi conto in effetti. L’unico “piazzamento” certo era quello per Reviver. Sapevamo fin da subito di doverlo collocare in centro al disco.
E’ un pezzo simmetrico, piramidale: ha una salita, una crescita che culmina al centro, ed una discesa speculare, come lo è il testo che aumenta via via la lunghezza delle strofe per poi riaccorciarle, ed il titolo stesso che è un palindromo.. Il nostro cerchio senza inizio ne fine. Da quel brano abbiamo poi costruito il resto della track list.

Sempre nella nostra recensione di Without, sottolineavamo che “Negli ultimi anni ci sono stati diversi gruppi che hanno cercato di rivisitarlo (il blues)” ed era il 2013. Adesso mi sembra che ci siano meno cose nuove per quanto riguarda questo tipo di musica, sembra così anche a voi? Se sì, avete un pensiero in merito o non siete toccati dalla cosa?
Noi abbiamo sempre le antenne ben alzate per quanto riguarda la scena blues internazionale, e non abbiamo notato nessun particolare cambiamento per quanto riguarda le band che lo fanno e le band che iniziano a farlo. Semplicemente le regole di mercato impongono un cambio di moda.
Se si trova meno blues è più per voleri commerciali, che per motivazioni artistiche.
Noi siamo completamente al di fuori dal mercato per il momento, siamo ancora una “nuova proposta” e in Italia pochi fanno quello che facciamo noi quindi effettivamente la cosa non ci tocca affatto.

Ascoltando i vostri dischi, viene naturale pensare che la dimensione ottimale della vostra proposta sia dal vivo. Cosa avete preparato per questo tour? Immagino che abbiate un’enorme voglia di suonare queste nuove canzoni e non solo.
Noi siamo un gruppo che sopravvive grazie al live, è così che la gente ci conosce, ed è grazie ai live che siamo cresciuti. Non siamo un gruppo che suona guardandosi le scarpe, i nostri pezzi rendono al 100% solo se il pubblico ci trasmette il proprio entusiasmo. Con “HORNS” è la prima volta che non potremo riprodurre completamente sul palco quello che abbiamo inciso, perché nella nostra formazione live mancheranno gli ottoni l’armonica e le tastiere, ma praticamente tutti i pezzi che abbiamo raccolto in Horns erano già pronti molti mesi prima di essere registrati, e già li suonavamo live, in versione minimale, con solo voce chitarre e batteria, funzionavano, funzionano e funzioneranno ancora. La voglia di suonare è sempre altissima, non tanto per proporre i pezzi nuovi perchè già li abbiamo portati in giro da un po’, più per arrivare a gente nuova, per arrossire di nuovo quando ci chiedono l’autografo sul vinile, per non sapere cosa dire quando ci fanno dei complimenti sinceri, e per strizzare il sudore dalle camice alla fine della serata, per spaccare le bacchette, per chiedere al fonico di alzare la voce nel monitor, per stupirsi che qualcuno nel pubblico conosce il testo di un pezzo, per battere le mani a tempo e vedere che poi le battono tutti assieme a te.
L’obiettivo quando si va in tour per noi e’ sempre lo stesso: essere una sorpresa per chi non ci conosce, ed essere una conferma per chi conosce già i There Will Be Blood.

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