Gli EP del mese: ottobre 2016

L’EP è ormai un formato sempre più diffuso per la pubblicazione di nuove canzoni da parte delle band, italiane e non. Spesso, purtroppo, chi scrive di musica tende a privilegiare la trattazione degli album, e questo crea il rischio che lavori assolutamente validi non abbiano lo spazio che si meriterebbero. Da questa considerazione è nata la nostra scelta di raggruppare mensilmente una serie di recensioni brevi sugli EP ascoltati nel periodo di riferimento, così che i nostri lettori possano avere uno sguardo d’insieme anche su questo tipo di pubblicazioni.

viruuunga

Viruuunga – Spank (On The Camper)
È passato diverso tempo da quando i Peter Kernel hanno preso i propri conterranei Viruuunga sotto la loro ala protettrice, portandoseli in giro spesso a suonare con loro e includendoli nel roster della loro etichetta. Ora il duo ticinese pubblica il primo EP, prodotto dallo stesso Aris Bassetti, e mostra che la gavetta è decisamente servita. Cinque canzoni tra indie-rock e oscurità, con il suono della drum machine che accentua nel modo giusto la cupa tensione evocata, un songwriting dalle melodie giustamente chiuse e quasi statiche, un timbro vocale che porta con sé un’espressività sui generis e perfetta per il contesto, e la chitarra e il basso che creano un suono ora saturo, ora invece con maggior respiro, in modo da evocare atmosfere differenti tra loro, ma contigue. 25 minuti di viaggio intenso e coinvolgente, e siamo solo all’inizio (Stefano Bartolotta)
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giardini

Giardini di Chernobyl – Magnetica (Zeta Factory)
Ad un anno e mezzo di distanza dall’uscita del primo disco – Cella Zero (Zeta Factory, 2015) – tornano i Giardini di Chernobyl con Magnetica, un EP composto da cinque tracce, due delle quali (Iago e Odio il sole) sono contenute all’interno del loro album d’esordio, ma che qui vengono riproposte come erano state originariamente concepite. C’è la potenza di un mare in tempesta, ma al contempo anche la delicatezza delle onde che accarezzano le sue rive. Quello stesso mare, quelle stesse onde diventano materia sonora dal forte impatto, e plasmano dal nulla pensieri infiniti, flashback e continue rigressioni verso il passato, verso ricordi tanto amari quanto intensi. Come in Cella Zero, i testi dei Giardini privilegiano l’evocatività alla narrazione, essendo in grado di rievocare istanti trascorsi, il desiderio di giorni che non giungeranno mai. Se, dunque, da un lato, si nota una contuinità nelle liriche; dall’altro e musicalmente, le ottime impressioni avute già con il disco d’esordio, in questo breve capitolo diventano certezza. Il sound della band marchigiana infatti appare maggiormente maturo, più emancipato rispetto alle influenze musicali presenti in origine (l’eco dei primi Verdena era più o meno percepibile). I tre inediti – Il giardino delle farfalle, Clessidra, Paraselene – dimostrano l’acquisizione di uno stile personale, ben definito. Momenti forti ed energici cedono spazio ad altri più lenti e distesi, in un gioco di alternanza di luci ed ombre: un alt rock che si macchia elegantemente ed a tratti di noise, di nu metal, quasi di post rock. Attendiamo con impazienza il nuovo disco, ma nel frattempo Magnetica ad alto volume! (Gilda Romeo)
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mulai

Mulai – Glue (VolumeUp)
Mulai è Giovanni Bruni Zani, producer bresciano, milanese d’adozione, e questo suo secondo EP viene presentato come “elettronica di ispirazione UK che si fonde con post-dubstep e linee vocali pop-soul”. Il rischio, per uno abituato a ascoltare prevalentemente indie-pop o indie-rock, come il sottoscritto ma sicuramente come tanti altri, è che questa proposta semplicemente sia troppo fuori dal proprio gusto musicale, ma, in realtà, gli elementi di interesse in queste sei canzoni non mancano. Melodie di gran qualità; armonie tra ritmi, synth e voce che creano un suono avvolgente e intrigante, stracolmo di vibrazioni positive e in grado di arrivare a chiunque, a prescindere dal genere che si predilige; arrangiamenti raffinati, dinamici e leggeri allo stesso tempo, che agganciano alla canzone il cervello dell’ascoltatore e non lo mollano più. Ammaliante (Stefano Bartolotta)
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uncovered

Uncovered For Revenge – Life (autoproduzione)
C’è sempre un grosso rischio di scivolare nel già sentito con questo hard-rock muscoloso di stampo americano, in cui la voce femminile (per ora punto di forza della band) non dispensa carezze ma ci mette una buona dose di grinta, rabbia e ottimi vocalizzi. Bene, diciamo subito che i ragazzi romani ce la mettono tutta, ma forse la produzione senza guizzi e una scrittura un po’ scolastica (sempre di esordio parliamo comunque), ci impediscono di essere pienamente soddisfatti. Il biglietto da visita comunque è piacevole: apprezziamo i momenti più tranquilli che poi si aprono a un ritmo più incalzante, mentre le chitarre fanno un lavoro che più classico non si può (Tomboy). Per fortuna le strizzate d’occhio a furbate pop non sono così evidenti e i nostri preferiscono, saggiamente, dimostrarsi fieramente hard-rock. Fra tutte un punto in più per la tagliente Blackout, con l’assolo che mi rimanda addirittura a qualcosa di Gregor Mackintosh dei Paradise Lost (Ricky Cavrioli)
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aftersalsa

Aftersalsa – Chances (Costello’s)
Primo EP per questo progetto brianzolo attivo dal 2005 e passato da duo a quartetto nel corso del tempo. Le quattro canzoni hanno un’impostazione prettamente synth-wave, con le melodie e il cantato chiusi quanto basta per valorizzare le atmosfere da dark club degli anni Ottanta. Il lavoro nel suo complesso è solido, grazie alla giusta compattezza sonora e alla buona varietà, che porta l’ascoltatore tra le saturazioni sintetiche di White Collar, il discreto ma visibile incalzare ritmico della title track, le rarefazioni di Haldol e i saliscendi ritmici di I Wanna. Manca ancora una canzone che sappia stendere senza scampo, ma un inizio così è molto promettente (Stefano Bartolotta)
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unitadiproduzione

Unità di Produzione – Monolite (autoproduzione)
Gli Unità di Produzione sono una band bergamasca nata dall’incontro di quattro ragazzi con in comune il forte interesse per gli anni novanta, quelli da cui sembra davvero difficile distanziarsi, anzi con il tempo sembra si tenda ad attingere sempre di più dagli stessi. Ascoltando, per l’appunto, i quattro brani di Monolite si percepisce appieno l’aura di wave tanto cara, tra i molti, ai Consorzio Suonatori Indipendenti di Ferretti (stando a suoni e timbro vocale è impossibile che non vengano alla mente) se pur fortemente trasudante post-punk. La cattiva L’Età dell’Oro racchiude in sé ognuna di tali caratteristiche, un sound che mira al richiamo di grandi menti delle ultime decadi (anche di band nate recentemente ma che già nell’immaginario collettivo hanno un loro perché, come Savages o Echo Bench); ancora Inverno che, nonostante mantenga un ambient dark ben saldo alla base, si veste di uno sperimentale ed elegante post-rock. Consigliato spassionatamente a chi ha problemi ad allontanarsi con i bei tempi che furono (Andrea Martella)

shapelessvoid

Shapeless Void: Telema (autoproduzione)
Se nella prima puntata dell’avventura Shapeless Void si guardava a gente come gli Arctic Monkeys, in questo secondo EP i nostri si aprono anche a riverberi più popedelici di scuola britannica e le chitarre disegnano trame più liquide e avvolgenti (su tutte Crawling Walls). La scuola post-punk emerge in Black Candles ma non così rigida e rigorosa, ma sapientemente resa più malleabile (ottimo il finale con l’assolo). La melodia è sempre parte del percorso, non meta finale e sia Feelings che White Pond hanno ritornelli accattivanti e preziosi, con chitarre soniche capaci di riempire lo spazio circostante senza mai strafare. Talentuosi (Ricky Cavrioli)
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angelosava

Angelo Sava – Addio Pimpa (autoproduzione)
Chi di noi non ha degli scheletri nell’armadio? Chi non guarda con rabbia al passato? Chi non prova amarezza navigando nei ricordi? A volte bastano due parole per sconvolgere la mente ed il cuore di uomo. Così è stato per Angelo Sava: due semplici parole –Addio Pimpa– scritte sul muro della sua città hanno ispirato questo suo nuovo EP. In queste quattro tracce, l’artista pesarese decide di rievocare esperienze trascorse, di affrontare i suoi demoni interiori, così da poter definitivamente andare avanti e lasciarsi tutto alle spalle. L’esasperazione e la malinconia vengono tradotte in versi struggenti: “Sai perchè non posso parlarti più? Non è che non è che non sappia che fare, non è che non sappia che dire” . I testi trasudano tormento e angoscia, rabbia e dolore; mentre la musica che li accompagna è una chitarra distorta, che crea suoni a tratti dilatati, a tratti rumorosi e dissonanti. Ritornerò è il brano che riesce ad esprimere meglio questa sintesi tra songwriting e noise: la chitarra graffia delicatamente e le parole colpiscono dolcemente. Da ascoltare in completa solitudine, magari in un pomeriggio di pioggia (Gilda Romeo)
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maddenwaves

Madden Waves – Shades (Moquette Records)
Il romano Gabriele Cherchi ha in testa questo progetto dal 2007, ma è riuscito a avviarlo solo nel 2013, perché non trovava i musicisti giusti. Ci sono poi voluti altri tre anni per il primo EP, composto da cinque canzoni caratterizzate dalla potenza della voce e delle chitarre, con una sezione ritmica altrettanto robusta e che ben corrobora l’impatto. I brani possono richiamare dei Pearl Jam più snelli e melodici (Hard To Set), o dei Gaslight Anthem dediti al rock n roll (Innocent Coma), o ancora ricordare certo alternative di fine anni Novanta che per un po’ si era conquistato una certa visibilità con gruppi come 3 Doors Down o Caroline’s Spine (Basements). Le ultime due tracce, dapprima rallentano il ritmo con la power ballad Sunflower, e infine ammorbidiscono i toni con la semiacustica Apparently At Home. Non è certo un inno alla modernità questo debutto, però è un lavoro che trabocca di sincerità e passione e anche ben fatto dal punto di vista tecnico. Ascolto consigliato quando si vuole scaricare l’adrenalina e buttare fuori i pensieri dal proprio cervello, di qualunque natura essi siano (Stefano Bartolotta)
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